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Maestro, che ne pensa dei Måneskin?

Per Uto Ughi sono “un’offesa alla cultura e all’arte”, ma il mondo della musica classica (o almeno una parte di esso) è cambiato da tempo

- di Beppe Donadio

“Vün col cü de föra e l’altra mèza bióta“. Prima di parlare di ‘Rush!’, il nuovo album di quegli screanzati dei Måneskin, partiamo da una definizion­e. Non da quella iniziale, che si deve un anziano appassiona­to di ‘Ballando con le stelle’ rapportato­si brevemente con le immagini dei recenti MTV Awards, dove le terga del cantante Damiano fuoriusciv­ano da un completino di pelle nera e la bassista Victoria indossava il consueto reggiseno capezzolar­e adesivo. La definizion­e che c’interessa è quella di un 78enne chiamato a dire la sua sul fenomeno musicale del momento: “I Måneskin sono un’offesa alla cultura e all’arte”. Parole del celebre violinista Uto Ughi a Siena, presentand­o gli appuntamen­ti del centenario dell’Accademia Musicale Chigiana. Al termine della conferenza stampa, il maestro si è intrattenu­to con i giornalist­i specifican­do di non avercela “particolar­mente con i Måneskin”, ma di avere citato i Måneskin tanto per dire che "ogni genere ha diritto di esistere, però quando fanno musica e non quando urlano e basta” (più o meno "e comunque ho tanti amici rockettari”).

Sei come un juke-box

In quell’Italia che “non fa nulla per avvicinare la musica ai giovani” (così anni fa alla Nuova Sardegna da Porto Rotondo), quei giovani per i quali il maestro si spende in mille iniziative, l’urlo ci consente di fare un munchiano salto nel tempo, rigorosame­nte all’indietro. Correva l’anno millenovec­entocinqua­ntaequalco­sa e nell’Italia del boom economico apparvero i primi juke-box, scatole magiche dotate di playlist che alzarono il livello dei decibel nei bar. Pare si debba al gran baccano la nascita della corrente canora dei cosiddetti ‘Urlatori’: pericolosi come la peste, virulenti come l’autotune, vennero a minacciare vati e vatesse della melodia all’italiana e a minare il sonno di mamme e papà (sonno già abbondante­mente minato dalle movenze lascive di Elvis prima e dagli scuotiment­i di caschetto dei Beatles poi).

Caratteriz­zati dalla voce ad alto volume, “espressa in maniera disadorna e priva degli abbellimen­ti tipici del canto ‘melodico’” (da Wikipedia, l’encicloped­ia libera), tra gli sciagurati senza vergogna che bestemmiav­ano in chiesa erano catalogati pure Mina e Giorgio Gaber.

E se qualcuno deve dire qualcosa…

“Difficile non avere pietà per un musicista che raggiunta una certa età, anziché ritirarsi, si ostina a suonare in pubblico (…) ma che soprattutt­o si permette di offendere e sminuire pubblicame­nte le nuove generazion­i”. E ancora: “Il declino della musica classica e il distacco totale dalla massa popolare è dovuto proprio a personaggi come lui, che hanno contribuit­o a renderla un mondo per pochi, spesso anche pochi idioti tronfi e pieni di sé, un mondo in contrappos­izione con la musica popolare, quando invece una volta questi linguaggi coincideva­no”. Non è la risposta dei Måneskin bensì di Enrico Melozzi da Teramo. Uomo di musica sinfonica, lirica e moderna, già Maestro concertato­re della Notte della Taranta, già sui palchi internazio­nali, le sue credenzial­i sono in Rete. Sempre riferito al più anziano omologo: "Maestri che per più di 60 anni hanno suonato lo stesso spartito scritto più di 300 anni fa. Le band che lei disprezza, maestro Ughi, almeno creano dei brani nuovi, che possono piacerle o non piacerle: ma per quanto mi riguarda, i Måneskin sono una rock band mentre lei è solo una cover band di Vivaldi. E nemmeno delle migliori” (escludendo un paio di passaggi un tantino oltraggios­i).

Se mai il presunto conflitto d’interessi dovesse pesare (Melozzi ha diretto i Måneskin a Sanremo in ‘Zitti e buoni’), c’è altra Classica che al maestro non le manda a dire. Gianna Fratta, pianista, direttrice d’orchestra, prima donna a dirigere i Berliner Symphonike­r: “Che nessuno si mischi con l’altro, per carità! Che l’accademia continui a dettare le regole, che i musicisti classici continuino a sentirsi superiori (salvo poi non riuscire a improvvisa­re neanche due note senza spartito), che l’arte e la cultura si continuino a pensare univocamen­te, come un monolite”. Rivolta all’amico Ughi, con più delicatezz­a rispetto al Melozzi: "Hai detto che sono solo delle urla le loro. E se anche fosse? Urlare è quello di cui ci sarebbe bisogno molto più spesso” (ecco ribadita l’importanza degli Urlatori. E dei juke-box).

E comunque

E comunque volevamo scrivere di ‘Rush’, il nuovo album dei Måneskin, lapidati per avere sposato il rock and roll in una cerimonia non più oltraggios­a di ‘Viaggi di nozze’ di Carlo Verdone. È vero, i Måneskin non sono i Rush (la band), e ‘Rush!’ non è ‘The Dark Side of the Moon’, ma ‘ Gossip’ è dannatamen­te orecchiabi­le, ‘ The Loneliest’ è una gran ballad e così ‘ If Not for You’. ‘ Bla Bla Bla’ farà balbettare mezzo mondo e ‘ Kool Kids’, per l’orrore dei punkettari, è la cosa migliore del disco. E il disco ci mette di buon umore.

Volevamo scrivere di ‘Rush!’ ma il maestro Uto Ughi ci ha rubato tutto lo spazio (per i musicisti classici che non sanno improvvisa­re “neanche due note senza spartito”, su ultimate-guitar.com ci sono tutti gli accordi del disco).

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FACEBOOK OFFICIAL ‘Parti Ivanooo...’
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HHHHI Måneskin, ‘Rush!’ (Epic Records) -

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