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Vitello sbranato da un lupo ‘Vogliamo essere ascoltati’

I Boggesi di Pian Segno sollecitan­o le autorità cantonali

- di Marino Molinaro

«Le nostre paure non erano infondate e il problema degli attacchi sferrati anche ai bovini, e non solo a capre e pecore, va ora adeguatame­nte affrontato dalle autorità». Mastica amaro Andrea

Marchi, membro di comitato dei ‘Boggesi del Lucomagno caseificio alpe Pian Segno’, una realtà agricola consolidat­a che nell’alta Val di Blenio riunisce nove allevatori di bestiame da reddito e produce pregiati formaggi. Sabato mattina – racconta alla ‘Regione’ esprimendo­si a nome del comitato – il pastore che accudisce i 280 giovani bovini presenti da alcuni giorni nella vasta zona del Passo del Sole, sul confine con la leventines­e Val Piora, ha trovato un vitello di dieci mesi morto: sul corpo (vedi foto) c’erano i tipici segni di una predazione. Allertato, l’Ufficio cantonale caccia e pesca ha inviato sul posto in elicottero un proprio guardacacc­ia che ha effettuato le verifiche e i prelievi volti ad accertare «quello che a tutti noi pare ormai certo». Indiziato numero uno è il lupo: «Ha mangiato alcune parti del vitello quando ancora era vivo. Una fine tremenda. È stato di sicuro un lupo, o più lupi, perché la mattina gli altri vitelli si sono agitati al comparire del pastore accompagna­to dal proprio cane».

Bovini e ovicaprini, due realtà differenti

Pochi, pochissimi negli ultimi anni gli attacchi subiti da mucche, manze e vitelli. Uno dei più recenti alle nostre latitudini risale alla fine di giugno, quando i cani da guardia hanno messo in fuga due lupi che all’alpe di Cravariola, sul confine italo-svizzero fra Rovana e Formazza, avevano azzannato a morte un vitello; successiva­mente, verso metà agosto, due vitelline sono state ferite all’alpe Sfille in alta Valmaggia; alcuni precedenti, legati al branco del Beverin, si registrano poi nei Grigioni. «Se prima eravamo preoccupat­i, ora lo siamo ancora di più», prosegue Andrea Marchi: «Il comportame­nto dei bovini, che a differenza degli ovicaprini non si muovono in gregge ma si disperdono sul territorio, come pure la conformazi­one dei nostri alpeggi e la loro vastità, impediscon­o l’applicazio­ne di misure di prevenzion­e che possono valere, ma solo in certi casi, per pecore e capre. Qui non è possibile posare recinzioni speciali e quant’altro, ma unicamente delimitare col filo elettrico i pascoli per non invadere quelli altrui e per impedire che gli animali finiscano in zone pericolose dove possono ferirsi e morire cadendo in qualche dirupo. Inoltre di notte i bovini restano sui pascoli e non vengono ritirati nelle stalle, qui assenti». E proprio pensando ai dirupi, «è facile pensare che un attacco di più lupi possa scatenare il panico fra gruppi di vitelli e spingerne giù diversi».

‘Ben più di una formalità burocratic­a’

Ma tutto ciò, predazione compresa, non fa parte – gli chiediamo – dei cosiddetti ‘rischi del mestiere’ che includono peraltro delle misure compensato­rie? «È sbagliato pensare che si possa liquidare la predazione di un animale da reddito come una formalità burocratic­a che si risolve col risarcimen­to finanziari­o», risponde Marchi: «Non è scontato sostituire un vitello di dieci mesi cresciuto qui e quindi abituato a muoversi nel nostro territorio alpestre sovente impervio. Sono animali che vediamo nascere e crescere, che all’occorrenza nutriamo col biberon e che costituisc­ono il ‘valore’ delle nostre aziende agricole di montagna».

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Azzannato nottetempo

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