Quando la parete del vicino prende fuoco
Nell’esprimere il pensiero sull’iniziativa, immediatamente penso alla fortuna di tutte noi donne che non abbiamo vincoli. È pura realtà alle nostre latitudini, siamo titolari di diritti e li esercitiamo, per legge, anche se è pur vero che ci sono spazi di miglioramento nelle applicazioni e miglioreremo, nella speranza tuttavia di non cadere nel ridicolo. Sultane nei sentimenti e competenti nella società. È questo che vogliamo, ma non basta. A me non basta. Come donna rabbrividisco quando vedo che in altri posti nel mondo non si dà ugual importanza alle donne e le stesse sono maltrattate e castigate, sin dai primi anni di vita, a dover indossare un capo che nasconde il viso e ogni altra sembianza femminile. Un giogo materiale e psicologico, ben difficile da strapparsi di dosso. Oso dire quasi impossibile. Truffaut scriveva: “Il vero orrore, è quello di un mondo in cui è proibito leggere, conoscere, amare”, io aggiungerei ricordare, ricordare di essere donna. Sentiamoci a nostro agio nei panni di donne che lavorano, rivestono ruoli politici, partecipano alle sfide della società, ma che sia una pratica naturale, senza doverci per questo appellare al fatto di essere donna, e senza tuttavia dimenticare quelle donne che sono ancora in fondo alla scala dei valori civili e dove il costume, pur essendo complementare, è ancor più rigido del diritto ed è discriminante. Non presentiamo come naturale, inevitabile o addirittura accettabile l’imposizione del burqa quando sappiamo benissimo che è una crudele barbarie. Ecco perché su un argomento come questo, che mi coinvolge quale donna in prima persona, non posso evitare di affrontare l’aforisma iniziale “sono anche affari tuoi se la parete del vicino prende fuoco”. Essere donna è vedere il cielo con gli occhi di tutte le donne.