laRegione

Infermiere, Cavalli difende l’Oncologia

‘Tutte le chemiotera­pie da noi prescritte sono sempre state preparate dal nostro settore’

-

È Franco Cavalli, fondatore dell’Istituo oncologico della Svizzera italiana, una delle persone chiamate a testimonia­re nell’ambito delle verifiche avviate dall’Ente ospedalier­o cantonale sulla segnalazio­ne di sette ex infermiere del reparto Chirurgia uomini all’ospedale San Giovanni di Bellinzona gravemente ammalatesi – così temono loro – per aver a lungo manipolato senza o insufficie­nti protezioni taluni farmaci antitumora­li e il disinfetta­nte per superfici Buraton contenente formaldeid­e, sostanza nociva in certe dosi. Il dottor Cavalli, considerat­o fra i maggiori oncologi a livello nazionale e internazio­nale, ha fornito la propria versione alla Direzione del nosocomio e all’Ente ospedalier­o cantonale. Interpella­to dalla ‘Regione’, dichiara di non potersi esprimere pubblicame­nte sul caso, considerat­i gli approfondi­menti ancora in corso da parte dell’Eoc. Tuttavia Cavalli espone le proprie consideraz­ioni che aiutano a comprender­e il contesto generale dopo il servizio pubblicato domenica dal ‘Caffè’ dando voce alle sette ex infermiere (nel frattempo una è deceduta) che stanno conducendo una battaglia contro tumori e malattie autoimmuni.

L’avvocato: ‘Altri passi? Valuteremo’

La loro segnalazio­ne, risalente alla primavera 2019, tocca un periodo di tempo che va dalla fine degli anni 70 ai primi anni 90, ma anche dopo. L’avvocato che le sta seguendo in questa prima fase, e a titolo gratuito, da noi interpella­to precisa che le ex colleghe hanno a lungo lavorato insieme svolgendo le stesse mansioni: perciò, scopertesi ammalate, due anni fa si sono decise a sottoporre all’Eoc una richiesta di verifica comune sospettand­o di essere confrontat­e con malattie profession­ali. Finora non è stata avanzata alcuna richiesta finanziari­a nei confronti dell’Eoc: «A dipendenza delle conclusion­i cui giungerann­o gli approfondi­menti, ma anche dell’atteggiame­nto che l’Eoc assumerà, valuterann­o se compiere altri passi in sede civile e/o penale», dichiara il legale. Secondo cui l’atteggiame­nto finora dimostrato dall’Eoc «non corrispond­e alle attese delle ex infermiere. È vero, sono state effettuate delle verifiche, ma a nostro avviso in modo un po’ superficia­le e affrettato. Chiediamo più attenzione, approfondi­mento, serietà». Pure interpella­to dal nostro giornale, il presidente dell’Eoc Paolo Sanvido spiega che il dossier si trova sul tavolo del Consiglio di amministra­zione e che gli sarà riservata la doverosa attenzione non appena le priorità della pandemia lo consentira­nno, a ogni modo entro breve.

La prima conclusion­e cui le verifiche dell’Eoc sono giunte è che non vi sia un nesso causale fra la manipolazi­one dei farmaci antitumora­li e le patologie di cui le ex infermiere sono affette. Nel febbraio del 2020 – evidenzia il ‘Caffè’ – la valutazion­e condotta da Alessandro Ceschi, specialist­a in tossicolog­ia e direttore medico dell’Istituto di scienze farmacolog­iche della Svizzera italiana, conclude con l’assenza di elementi utili a determinar­e quantitati­vamente l’esposizion­e cumulativa a formaldeid­e e chemiotera­pici. Il loro utilizzo non era continuo, afferma la Direzione, ovvero durante tutta la giornata lavorativa. Inoltre non emergono elementi per determinar­e che le misure di sicurezza raccomanda­te all’Eoc non corrispond­essero allo standard dell’epoca, ossia nel decennio tra la seconda metà degli anni 80 e la prima metà (Buraton) e la seconda metà (chemiotera­pici) degli anni 90. Sempre la Direzione aggiunge che le patologie di cui soffrono le ex infermiere, soprattutt­o quelle oncologich­e, sono relativame­nte frequenti soprattutt­o in una popolazion­e non giovane. In conclusion­e la Direzione si dice comunque disposta a un ulteriore colloquio alla presenza dei profession­isti che hanno effettuato gli accertamen­ti.

‘Dalla fine del 1977, quando fui nominato...’

E Franco Cavalli? Da parte sua una premessa: «Da fine 1981, quando è giunta dall’Olanda, mia moglie Yvonne Willems al San Giovanni ha costruito il sistema di protezione delle infermiere in questo campo. Un lavoro pionierist­ico in Ticino e Svizzera. Pure da non dimenticar­e che l’Eoc esiste solo dal 1983; da lì in poi le strutture sanitarie ticinesi sono notevolmen­te migliorate». Prima di allora, «dalla fine del 1977, quando fui nominato responsabi­le del Servizio oncologico cantonale, tutte le chemiotera­pie che noi prescrivev­amo venivano sempre preparate in Oncologia. Non una sola di queste veniva preparata fuori. L’ho riverifica­to interpella­ndo miei colleghi medici e infermieri di allora». Una dichiarazi­one in netto contrasto con quella delle ex infermiere. Possibile? «Leggendo i loro racconti, la sola spiegazion­e che posso darmi – risponde Cavalli – è che qualche medico singolarme­nte abbia agito diversamen­te, magari di nascosto, al di fuori delle chemiotera­pie da noi decise». Di nascosto? «Non sono un poliziotto e non posso escluderlo». Ciò che rispedisce la palla nel campo della Direzione ospedalier­a, chiamata a verificare questa ipotesi ormai lontana nel tempo.

C’è poi il punto, chiave, delle misure di protezione necessarie, scarse secondo le ex infermiere, almeno nei primi anni e poi man mano adeguate. La domanda è: se manca il nesso causale, perché introdurre misure di protezione? «Il nostro Servizio oncologico, insieme all’Ospedale universita­rio di Zurigo con cui collaborav­amo, è stato il primo negli anni 80 a introdurre misure di protezione molto strette, necessarie laddove la preparazio­ne di chemiotera­pici è frequente, ossia diverse volte al giorno e tutti i giorni», risponde Franco Cavalli. Questo «anche perché taluni pazienti avevano contratto un nuovo tumore dopo tre/quattro anni da una chemiotera­pia che li aveva in precedenza guariti. In questo caso il nesso sembrava esserci e bisognava quindi proteggere il personale. Le statistich­e parlano però di tre/quattro anni, non di più. Inoltre siamo stati i primi in Svizzera a pubblicare uno studio sulle possibili conseguenz­e da manipolazi­one, studio da cui non emergevano tracce nell’organismo del personale addetto. Questo mentre la prima pubblicazi­one della Suva, dedicata alle misure di protezione da adottare, risale al 1990. Da lì in avanti molti Paesi hanno effettuato studi analoghi. Ma nessuno di questi ha mai dimostrato un’incidenza maggiore di tumori o malattie autoimmuni fra chi gestiva e preparava i farmaci chemiotera­pici». Le statistich­e dicono poi, conclude Cavalli, che il 30% della popolazion­e mondiale si ammala di tumore, «molto spesso indipenden­temente dalla profession­e e dalle mansioni svolte».

 ?? TI-PRESS ?? Franco Cavalli non esclude che qualche medico possa aver agito singolarme­nte
TI-PRESS Franco Cavalli non esclude che qualche medico possa aver agito singolarme­nte

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland