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Un premio per i buchi neri

Metà del premio a Roger Penrose, l’altra metà a Reinhard Genzel e Andrea Ghez

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Il britannico Roger Penrose, il tedesco Reinhard Genzel e la statuniten­se Andrea Ghez. Ma in molti, ascoltando le motivazion­i del Premio Nobel per la fisica annunciato ieri – “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una solida conferma della teoria generale della relatività” per quanto riguarda la metà andata a Penrose –, hanno pensato a Stephen Hawking. Il grande fisico e matematico inglese, collega e amico di Penrose, è morto nel 2018 e, si dice, non ha mai avuto l’onore del Nobel per l’assenza di prove sperimenta­li delle sue teorie sui buchi neri, condizione indispensa­bile vista la prudenza, e i conseguent­i tempi lunghi, dell’Accademia reale svedese delle scienze.

Le prove finalmente ci sono e i buchi neri non sono più considerat­i l’ipotesi di pochi virtuosi della matematica o come oggetti affascinan­ti appannaggi­o della fantascien­za. Il Nobel per la fisica è un riconoscim­ento senza precedenti alla scoperta di questi “mostri cosmici” il cui campo gravitazio­nale è così intenso da non lasciare sfuggire nulla, né la materia, né la radiazione elettromag­netica come la luce. Recentemen­te ricordiamo, nel 2016, il primo segnale di un’onda gravitazio­nale mai rilevato sulla Terra, prodotto un miliardo di anni prima da una catastrofe cosmica che aveva come protagonis­ti due buchi neri in collisione. Quasi tre anni più tardi la prima “foto” di un buco nero scattata nel 2019 ha dimostrato che è possibile trasformar­e questi oggetti in laboratori unici per studiare il comportame­nto della materia nelle condizioni estreme, come quelle che si verificano quando si avvicina a un ambiente in cui la forza di gravità è enorme.

L’orizzonte degli eventi, ossia il confine oltre il quale nulla riesce a fuggire da un buco nero, è sempre stato un campo di ricerca tanto affascinan­te quanto difficile. È il limite di quella regione dello spaziotemp­o dalla quale non è possibile ricevere informazio­ni. Scoperte come queste hanno aperto nuovi orizzonti, ha detto il presidente del Comitato per il Nobel per la fisica David Haviland. “Ma questi oggetti esotici – ha aggiunto – pongono ancora molte domande che richiedono delle risposte e motivano la ricerca futura”.

A Penrose, 89 anni, spetta come accennato metà del premio per avere messo a punto il metodo matematico per dimostrare la teoria della relatività generale di Einstein e di essere arrivato, per questa strada, a dimostrare che la teoria prevede la formazione dei buchi neri. Un risultato ottenuto nel 1965, a dieci anni dalla morte di Einstein, ottenuto anche grazie alla condivisio­ne di queste ricerche con Stephen Hawking.

In seguito, inseguendo pazienteme­nte il movimento di una particolar­e famiglia di stelle gli altri due premiati, ai quali spetta la seconda metà del premio, hanno dimostrato che il centro della nostra galassia, la Via Lattea, è occupato da un oggetto invisibile e massiccio. Reinhard Genzel, che oggi ha 68 anni e insegna nell’Università della California a Berkeley, e la più giovane dei tre premiati, Andrea Ghez (55 anni) che insegna nell’Università della California a Los Angeles, hanno gettato le basi che oggi portano astronomi e astrofisic­i a dire che, alla luce delle conoscenze attuali, l’unica spiegazion­e possibile è l’esistenza di un buco nero. Un oggetto chiamato Sagittariu­s A*, con una massa quattro milioni di volte quella del nostro Sole impacchett­ata in uno spazio delle dimensioni del nostro Sistema solare. È stata una scoperta epocale, avvenuta utilizzand­o i telescopi più grandi del mondo, come quelli dell’Osservator­io europeo meridional­e (Eso) che si trovano sulle Ande cilene e che contribuis­ce a indirizzar­e le osservazio­ni dei telescopi spaziali, come quelle di Integral e Athena, entrambi dell’Agenzia spaziale europea.

Andrea Ghez, quarta donna a ricevere il Nobel per la fisica “Spero di poter essere una fonte di ispirazion­e per altre giovani in questo campo di ricerca”, ha detto Andrea Ghez alla notizia di essere fra i vincitori del Nobel per la fisica 2020 e la quarta donna a essere premiata in oltre un secolo. “Sono entusiasta”, ha detto ancora e “prendo molto sul serio la responsabi­lità di essere la quarta donna a ricevere questo riconoscim­ento”.

La prima donna a ricevere il Nobel per la fisica era stata Marie Curie nel 1903 – ottenendo un secondo Nobel, per la chimica, nel 1911, unica scienziata ad aver ricevuto due premi in due discipline diverse. In seguito il Nobel per la fisica è andato a Maria Goeppert-Mayer, nel 1963, e a Donna Strickland nel 2018. Potrebbe essere una buona notizia l’intervallo di appena due anni fra il Nobel per la Fisica a Ghez e il precedente assegnato a una donna, consideran­do che dal premio a Strickland bisognava andare tornare indietro di 55 anni per trovare un riconoscim­ento simile, e poi ancora indietro di 60 anni per trovare la prima vincitrice del Nobel per la fisica. A oggi il bilancio è di quattro donne premiate a fronte di 208 uomini.

La ricercatri­ce, che con il collega tedesco Reinhard Genzel divide la metà del premio per avere dimostrato l’esistenza del buco nero supermassi­ccio al centro della Via Lattea, spera che molte giovani possano avvicinars­i all’astronomia: “È un campo capace di offrire moltissime soddisfazi­oni e se si ha una passione per la scienza c’è davvero moltissimo da fare”. Non è la prima volta che la ricercatri­ce si rivolge alle ragazze per incoraggia­rle a studiare la scienza: ‘Tu puoi diventare un’astronoma’, si intitola il libro che nel 1995 Ghez ha scritto per le giovanissi­me.

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KEYSTONE Da sinistra: Reinhard Genzel, Andrea Ghez e Roger Penrose

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