Pamini vs. Rossi
Lo scorso 23 settembre a Muralto il Club Plinio Verda ha promosso un dibattito sul tema: “Produrre meno, produrre meglio”. Relatori erano il dott. Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria a Friborgo, e il dott. Paolo Pamini, lettore al Politecnico federale di Zurigo. La differenza di grado accademico e di prestigio fra i due conferenzieri compromette la possibilità di un discorso critico sul pensiero da loro espresso e sul rigore professionale manifestato con le tecniche di comunicazione al pubblico. L’esperienza del professore di Friborgo, il suo pensiero supportato da schietti valori culturali, hanno, già all’inizio della serata, risolto il confronto con Pamini in particolare nel momento in cui è apparso sullo schermo l’assioma: “Chiunque creda che la crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo o un economista”. Questo postulato è stato seguito dal richiamo urgente di John Martin Hartwick, secondo il quale “… le rendite ottenute dall’utilizzo delle risorse naturali non rinnovabili (dovrebbero essere) investite per produrre del capitale che possa rimpiazzare queste stesse risorse”. Infine l’affermazione “evangelica” secondo la quale “la natura è un bene d’uso collettivo che non ha alcun prezzo” ha chiuso ogni possibilità al lettore della scuola politecnica federale dottor Pamini di confrontarsi “ragionevolmente”, proponendo argomenti sensati, con Sergio Rossi. Tuttavia Pamini, come il bambino che stupisce sempre l’adulto, mi ha sorpreso quando ha raccontato dell’africano che coltiva il mais, riesce a nutrire se stesso e la sua famiglia e gli rimane una parte del grano che può vendere. Il ricavato, l’abitante del Mali, lo usa per comprare il tubo, oggi rigorosamente di plastica, che unisce la sorgente per portare l’acqua alla sua abitazione. Ciò mi ha riportato alla mente un tempo non molto lontano, quando a ogni frase detta dai figli piccoli, anche la più banale, i nonni, ammirati, declamavano: Ma com’è intelligente! Comunque sono grato a Pamini per il suo racconto del mais e del tubo di plastica. È un aneddoto che mi ha suggerito il dramma storico e complesso, in cui furono attori, nell’era precristiana gli iloti in Grecia, nell’imperialismo romano gli schiavi e nei dieci secoli dell’eurocentrismo dal lavoro nei campi dei servi della gleba, dei mugik russi, degli schiavi neri degli Stati Uniti. Gli operai e le operaie protagonisti/e della rivoluzione industriale, con sofferenze spesso terribili, hanno sacrificato la loro vita per produrre eccedenze. Basta leggere i romanzi sociali di Charles Dickens (1812-1870) per averne conferma. L’eccedenza che il nero del Mali impiega ancora oggi per comprare il tubo di plastica, nella ventina di secoli trascorsi, è stata impiegata per la realizzazione di quelle manifestazioni civili e culturali testimoniate da splendori filosofici, letterari, architettonici e artistici, denominati: classicità greca e romana, civiltà cristiana, umanesimo, rinascimento e modernità.
Ciò che ci sorprende è il gap ancora esistente fra il Mali e Wall Street di New York; un po’ meno il crollo delle torri gemelle, edificate anch’esse grazie all’eccedenza prodotta oggi in parte dall’automazione e dalla digitalizzazione, tecniche o protesi che non possono giustificare la persistenza della povertà e la presenza dei tavolini magici anche nelle ricche città del nostro Cantone. Gli accademici come Rossi e i vicari come Pamini aggiungono sempre al titolo di dottore il luogo dell’Università in cui insegnano. Nascono così i paradossi di trovare un Paolo Pamini che legge al Poli di Zurigo, dove un busto del Franscini ricorda l’umanesimo e la sensibilità sociale di uno dei suoi fondatori e Sergio Rossi a Friborgo in un istituto che fu il tempio di un cattolicesimo conservatore, spesso reazionario.