Lo stragista con l’arsenale in casa e l’alcolista che non voleva recarsi al lavoro
Fu appiccato in cantina il rogo per il quale, all’alba del 2 marzo 2017 in uno stabile di via Franzoni a Solduno, rischiarono la vita una trentina di condomini. E non solo per i locali saturi di combustibile, e per il conseguente fumo sprigionatosi, ma perché il 57enne autore del gesto (poi condannato a otto anni) custodiva nel proprio appartamento un vero e proprio arsenale: baionette, pugnali, fucili a pompa, revolver, una mitragliatrice e caricatori in quantità industriale. Il tutto a disposizione di un soggetto affetto da gravi patologie psichiatriche. L’uomo fu giudicato in contumacia, dopo un tentativo di suicidio in carcere in verità poco convincente. Al tempo del processo, dell’imputato colpì la sua insofferenza verso gli inquilini dello stabile, colpevoli del ticchettio di un rasoio sul lavandino, del pianoforte suonato da una bimba, dei turni di lavanderia non rispettati e altre inezie. L’intento di eliminare la convivente, sfumato (il ‘risucchio’ della deflagrazione lo spinse a fuggire, mescolandosi con i feriti), non convinse mai l’accusa, che parlò di complessivo intento stragista. Bisogna tornare a settembre e ottobre 2009 per l’ultimo caso di incendi dolosi seriali, verificatosi a Bellinzona, che occupò a lungo inquirenti e pompieri. L’inchiesta sui roghi di via San Gottardo 144 stabilì infine che responsabile di due dei tre episodi era un inquilino 35enne con problemi di alcolismo. In un periodo professionalmente difficile, e dopo l’ennesimo tentativo fallito di abbandonare la bottiglia, aveva dato fuoco nottetempo a delle plastiche nello scantinato; cercava una scusa per non recarsi al lavoro dopo una sbronza. Conseguenza: 25 inquilini sfollati per alcuni giorni. Dopo un secondo episodio a lui non imputabile, ecco il terzo incendio, un mese e mezzo dopo il primo, sempre di notte. Ancora tanto fumo e inquilini fuori casa, ma ad emergere sono anche scritte ingiuriose, telefonate anonime, uova lanciate e razzi esplosi sotto la sede della società fiduciaria che amministra la palazzina. Tutto per mano del piromane – infine condannato a 3 anni e due mesi – arrabbiato con l’amministratore per non aver rimediato correttamente alle conseguenze del primo rogo.