Robusti stimoli fiscali
È quanto servirebbe all’Unione europea per rilanciare la crescita con vigore Questa la ricetta suggerita dal capoeconomista di Julius Baer, Christian Gattiker, che ‘assolve’ il tentativo italiano di espandere il bilancio pubblico
L’economia europea, soprattutto quella della zona euro, non cresce abbastanza e in alcuni Paesi il Pil da anni è praticamente stagnante. Servirebbero stimoli fiscali più forti, al pari di quelli statunitensi per esempio, per cercare di dare la spinta necessaria a una ripresa robusta. Ne è convinto Christian Gattiker, capoeconomista di Julius Baer intervenuto ieri al Villa Principe Leopoldo di Gentilino. Riferendosi alla situazione americana, Gattiker ha ricordato che per ben 45 anni i salari reali non sono aumentati. «Il tentativo della politica economica di Donald Trump è quello di reflazionare l’economia stimolando i consumi che rappresentano pur sempre quasi i due terzi del Pil» ha affermato l’economista di Julius Baer. Al pari di Ronald Reagan, agli inizi degli anni 80, che era confrontato con un problema di inflazione elevata, oggi il problema è la deflazione. «Non sappiamo se il protezionismo farà bene o male all’economia. È però certo che una delle conseguenze delle politiche protezioniste sarà l’inflazione. In che modo, però, l’Unione europea può procedere a un pacchetto fiscale di
tipo keynesiano, visto che non ha un vero e proprio bilancio? «I singoli Paesi hanno margini sufficienti per investimenti pubblici oppure possono attuare tagli fiscali a favore del ceto medio per rilanciare i consumi», ha continuato Gattiker che ha citato l’Italia. «Il tentativo del governo italiano di fare espansione
fiscale – ha precisato – può essere giudicato folle, ma in questo momento di rallentamento del ciclo economico è l’unico modo – con la riduzione dei non performing loan nei bilanci delle banche – per cercare di stabilizzare l’economia». Insomma, una posizione non ortodossa quella di Gattiker. Anche la recente firma del memorandum tra Italia e Cina entra in questo tentativo. «L’Italia ha bisogno di investimenti stranieri. Quelli cinesi nei porti e nelle infrastrutture sono quindi i benvenuti dopo anni in cui Roma è rimasta isolata nel panorama internazionale», afferma da parte sua Stefano Ambrogi, head investment advisory di Julius Baer.
Investimenti fino a 700 miliardi
Intanto ieri gli ambasciatori dei 28 Paesi dell’Unione europea hanno dato l’ok alla nuova struttura e alla modalità di funzionamento del piano europeo per gli investimenti, che raggrupperà in un unico programma i 14 differenti strumenti finanziari attualmente disponibili per sostenere gli investimenti nell’Ue. Questo sarà centrato su infrastrutture sostenibili, ricerca, innovazione e digitalizzazione, piccole e medie imprese (pmi), investimenti sociali e competenze. Le risorse totali a disposizione del nuovo fondo non sono ancora state concordate, in quanto la decisione finale rientrerà nei negoziati complessivi sul futuro bilancio Ue per il 2021-2027. L’Europarlamento ha proposto come obiettivo la mobilitazione di 700 miliardi di euro tra investimenti pubblici e privati con garanzie dal bilancio Ue per 40,8 miliardi, la Commissione Ue invece 650 con 38 miliardi di garanzie, ma a decidere l’ammontare finale saranno di fatto gli stati membri.