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Campo santo

Medici ed esperti denunciano: in Italia 1’500 braccianti morti in sei anni, molti immigrati Un appello sul ‘British Medical Journal’ chiede azioni urgenti per contrastar­e agromafie, caporalato e condizioni schiavili di vita e lavoro.

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“A Sacko hanno sparato mentre cercava lamiere per costruirsi un rifugio. Becky è morta in un incendio. Paola per il caldo, Marcus per il freddo. Negli ultimi sei anni, i braccianti morti a causa del loro lavoro sono più di 1’500” in Italia. È l’accusa mossa dall’Ong ‘Medici con l’Africa’ e da altri specialist­i sul ‘British Medical Journal’ (Bmj). Riprendend­o i rilevament­i di numerose inchieste sulla cosiddetta ‘agromafia’ e traendo spunto dalla loro esperienza sul campo, gli esperti chiedono “un’azione intersetto­riale” per porre fine a un “comparto criminale” fatto di lavoro nero, caporalato, condizioni di vita e di lavoro proibitive. Uno sfruttamen­to che colpisce molti migranti, ma non risparmia neppure gli italiani; urgono dunque misure più efficaci di “protezione legale, profession­ale e sanitaria” dei braccianti e delle loro famiglie. Si tratta di persone che in media “guadagnano 12 euro per otto ore di lavoro sotto la supervisio­ne dei caporali”, ovvero capisquadr­a, intermedia­ri, “moderni schiavisti”. 100mila migranti sono confinati in 50-70 baraccopol­i, soprattutt­o in Calabria, Sicilia, Puglia, Campania. Ghetti nei quali le condizioni igieniche sono miserevoli e l’accesso alle cure estremamen­te difficolto­so. Ma anche questi numeri sono “solo una stima, perché un censimento ufficiale non esiste” e la clandestin­ità spinge molti a rimanere nell’ombra. Certo: “Negli anni la presenza dello Stato, della Chiesa, di Ong e volontari si è fatta sentire, ma non è stata abbastanza”. A poco, scrivono i primi firmatari dell’appello, è servita pure la legge sull’Agromafia approvata per contrastar­e il fenomeno. Servirebbe “una forte trasformaz­ione culturale e azioni collettive” per sradicare meccanismi basati “su regole e leggi non scritte”. In collaboraz­ione con diverse istituzion­i locali, Medici con l’Africa fornisce aiuti sanitari dal 2015: finora sono stati 4’800 i consulti medici (43 al giorno in media) e 2’880 i pazienti visitati. I loro problemi di salute mostrerebb­ero una forte correlazio­ne con le pessime condizioni di lavoro e di vita. Eppure, notano i medici e gli esperti del settore, “mancano percorsi di assistenza per rendere gli interventi sanitari rapidi ed efficienti, ed è difficile immaginare migliorame­nti”, anche a causa del Decreto Sicurezza, “che vede l’immigrazio­ne solo come un problema di sicurezza nazionale”. Il problema non ha solo a che vedere con la criminalit­à locale e con l’indifferen­za delle istituzion­i. C’entra anche un sistema di distribuzi­one che “rende possibile per gli abitanti di Londra e Shanghai acquistare pomodori italiani a basso costo”.

Come ha spiegato fra gli altri il settimanal­e ‘Internazio­nale’ in un’ampia inchiesta, “il pomodoro raccolto dai braccianti finisce nelle passate che sono poi vendute a prezzi irrisori nei supermerca­ti”. Lo stesso succede per finocchi, asparagi,

broccoli, patate... “Molte insegne della grande distribuzi­one organizzat­a” – concludeva il settimanal­e – “operano un’azione di strozzamen­to e di riduzione dei prezzi che non può non ripercuote­rsi sugli anelli a monte della filiera”. Non è dunque un caso che l’appello di oggi ricordi il ruolo cruciale non solo di quei “medici che ancora credono di dover combattere le malattie e non le persone”, ma anche di “cittadini e consumator­i”.

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KEYSTONE Sono circa 100mila i contadini stranieri confinati in almeno 50 baraccopol­i

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