Rocker, frontalieri, patron, cantautori e Festivaldipendenti
Il Ticino apprezza. Marco Zappa, cantautore: «Seguo con grande interesse professionale tutte le serate di Sanremo. Apprezzo molto la professionalità tecnica dell’orchestra, la qualità del suono, la regia ed anche spesso gli interventi intelligenti e critici dei presentatori. Mi interessano anche le proposte dei giovani. Penso che sia un importante trampolino di lancio e di conferma per i cantanti». Per la categoria “Rocker”, Alain Scherrer, sindaco di Locarno: «Guarderò sicuramente una serata, cinque non le reggo, mi dispiace. Tiferò per il rock dei Negrita sperando di ascoltare buona musica. È vero che una canzone non può cambiare il mondo, ma sicuramente può farti passare un momento felice. E comunque sì, ha indovinato, nel 1983 ero incollato alla tv a tifare Vasco. Conservo la videoregistrazione della sua esibizione…». Dal Sottoceneri, Jacky Marti, Mister Estival: «Ci piace criticarlo, poi lo guardiamo almeno il sabato sera, magari dopo la partita di hockey. Perché “così fan tutti!”. È un carrozzone mediatico, un rito collettivo che si rinnova da 69 anni. E che ci permetterà anche questa volta di dare libero e piacevole sfogo al sociologo che è dentro di noi. Forse aveva ragione quel tale che aveva definito Sanremo “un tic, ormai irrimediabilmente connaturato al Dna italiano”. Per la categoria “Sportivi Festivaldipendenti”, Nicolò Casolini, Rsi: «Per me Sanremo è sempre Sanremo, uno spettacolo televisivo che mi esalta sempre, anche quando la canzone non mi prende particolarmente. Adoro Baglioni e soprattutto tutto ciò che ruota attorno alla kermesse. Le mie edizioni preferite sono il 1989, il trionfo Oxa-Leali e l’81, quando vinse Alice. «Del Festival ricordo questa definizione: “Sanremo è finta! Non esiste! Non esiste! È di cartone, viene tirata su durante il festival... e poi la smontano!...”». Lo diceva Grillo nell’85. Lo ricorda Sighanda, cantautrice: «Penso che Sanremo non esista, ma il Festival resiste e dopo i Mondiali penso sia la manifestazione più attesa dagli italiani, momento di condivisione che precorreva il digitale. In Belgio ricordo i miei genitori dopo il lavoro accendere la tv e sincronizzarla su Rai1, unico canale che avvicinava l’emigrato italiano alla propria terra d’origine. Era come la bandierina dell’Italia sul cruscotto o il corno rosso porta fortuna appeso al retrovisore dell’auto, cliché che ti facevano sentire “un italiano vero!”. Oggi il Festival non ha più quella magia e nonostante conosca il palco – vi cantai nel 2002 con la conduzione di Baudo e lo scorso ottobre al Premio Tenco – il vero Ariston è quello visto in tele da piccola. Chiude il frontaliere Roberto Bussenghi: «Sanremo per noi è un must, non mi perdo una serata. Più che altro è mia moglie Cesira che mi obbliga a vederlo. Sanremo è una certezza come per me il Bernasconi».