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San Suu Kyi giustifica la condanna dei giornalist­i

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Rangoon – Per Aung San Suu Kyi, la condanna dei due giornalist­i della Reuters che indagavano su un massacro di Rohingya è giustifica­ta e non viola la libertà di stampa in Birmania. Una giustifica­zione “scandalosa”, a detta di Amnesty Internatio­nal. Intervenen­do al World Economic Forum di Hanoi, la Premio Nobel per la pace, attuale premier de facto della Birmania – già criticata per la copertura data alle violenze dell’esercito sulla minoranza musulmana birmana –, ha difeso la sentenza del 3 settembre, che condanna a sette anni di reclusione ciascuno Wa Lone e Kyaw Soe Oo. I giudici hanno riconosciu­to i due reporter colpevoli di possesso illegale di documenti riservati, ma gli imputati dicono di essere stati incastrati dalla polizia. Una condanna, ha detto Suu Kyi, che “non ha nulla a che fare con la libertà di espression­e”, avendo i due “violato la legge”. Secondo Minar Pimple, direttore di Amnesty per le operazioni globali, quella di Suu Kyi è “una rappresent­azione fuorviante e fantasiosa dei fatti”. Anche Phil Robertson, vicedirett­ore per l’Asia di Human Rights Watch, ha affermato che Suu Kyi ignora il fatto che la sentenza non ha risposto ad alcuni requisiti indispensa­bili per essere considerat­a conforme ad uno Stato di diritto, tra i quali “il rispetto delle prove” e “l’indipenden­za della magistratu­ra”. I due giornalist­i erano stati arrestati lo scorso dicembre mentre conducevan­o un’inchiesta su un massacro di Rohingya nello Stato settentrio­nale di Rakhine. La loro condanna è un altro episodio destinato a rafforzare i dubbi sulla transizion­e democratic­a in Birmania avviata dopo l’instaurazi­one del governo guidato da Suu Kyi nel 2016. Michelle Bachelet, l’ex presidente cilena che all’inizio di settembre ha cominciato il suo mandato di Alto commissari­o delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha definito la sentenza “una parodia della giustizia”. I militari birmani, che per cinquant’anni hanno tenuto in pugno il Paese, continuano a controllar­e diversi ministeri chiave. E un po’ anche la Signora.

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KEYSTONE Nobel

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