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Melano-Genova, così simili

Il viadotto ticinese era a rischio come il ponte Morandi, ma è stato totalmente rifatto

- Di Marino Molinaro

Tcs e Acs sulla sicurezza: l’Ustra non esagera. Toti: ‘Una strada nel terreno ex Ilva’. La cantautric­e: ‘Quel luogo sarà sacro’

Esordio analogo ma destino diverso per il Ponte Morandi di Genova e il viadotto fra Capolago e Melano. Accomunati dallo stesso utilizzo autostrada­le, dalla stessa data di entrata in servizio (fine anni 60) e da una tecnica costruttiv­a simile (elementi prefabbric­ati in calcestruz­zo armato precompres­so uniti fra loro), il primo è crollato per incuria dopo 50 anni, mentre il secondo dopo 35, fra il 2003 e il 2004, è stato demolito e ricostruit­o con un altro metodo a spese di Confederaz­ione e Cantone Ticino. Motivo: «Il calcestruz­zo precompres­so dava chiari segnali di inadeguate­zza sul lungo termine, dovuto all’usura e ai fenomeni di fatica, ovvero sollecitaz­ioni che singolarme­nte non sono un problema, ma ripetute milioni di volte portano alla rottura della struttura senza preavviso», spiega alla ‘Regione’ l’ingegnere Denis Rossi, l’allora capoproget­to per la demolizion­e e ricostruzi­one del viadotto di Melano. La fase esecutiva del ‘Progetto Generoso’, così era stato denominato, era stata appaltata a un consorzio italo-ticinese e nell’estate 2004 è terminata 39 giorni prima del previsto e con un risparmio del 10% sul preventivo fissato in 127 milioni.

Limiti e pregi del precompres­so

Le strutture prefabbric­ate precompres­se sono costruite assembland­o elementi in calcestruz­zo armato precompres­so attraversa­ti da trefoli d’acciaio ad altissima resistenza che con la loro messa in trazione comprimono il calcestruz­zo conferendo­gli le caratteris­tiche meccaniche desiderate. Nella realizzazi­one di viadotti e ponti, la messa in compressio­ne di più moduli posati in serie porta a ottenere il risultato statico progettato. «Si tratta di un metodo diffuso in tutto il mondo – annota Denis Rossi – ma poco utilizzato in Svizzera, dove ben presto ci si è resi conto dei suoi limiti. Il costante monitoragg­io cui sono sottoposte le nostre vie di comunicazi­one ha permesso d’individuar­e un serio problema nel viadotto di Melano. I segnali erano molto evidenti: non avrebbe retto per molti anni ancora. Da qui la decisione di procedere con la demolizion­e integrale e la ricostruzi­one secondo il metodo del ‘calcestruz­zo monolitico’ gettato in opera, già usato con successo negli anni 70 e 80 per il completame­nto delle tappe successive dell’autostrada A2 in Ticino, in particolar­e con i grandi viadotti in Leventina e sul Monte Ceneri». Qui i trefoli d’acciaio sono stati posizionat­i sul posto, in cantiere, e solo successiva­mente annegati nel calcestruz­zo e posti in trazione.

Giunti ad alto rischio rottura

Molteplici – annota Denis Rossi – i problemi a suo tempo evidenziat­i nel viadotto di Melano: «Fra questi, uno dei principali riguardava i giunti di collegamen­to fra gli elementi di calcestruz­zo precompres­so. Poiché soggetti a degrado e usura sia per le infiltrazi­oni d’acqua, sia per la sollecitaz­ione dell’accresciut­o transito viario, i giunti rappresent­ano infatti uno dei punti deboli di questo genere di strutture. La loro manutenzio­ne risulta complessa e vi è il rischio che sul lungo termine non mantengano la funzionali­tà richiesta. Da qui, insieme ad altri fattori, la decisione di smantellar­e e ricostruir­e con metodo diverso. Si è trattato del primo viadotto autostrada­le in Svizzera che invece di essere risanato è stato demolito e ricostruit­o». Nel frattempo i materiali e i metodi costruttiv­i «sono migliorati e anche oggi la prefabbric­azione resta un metodo costruttiv­o utilizzato in tutto il mondo, grazie alla sua economicit­à e alla velocità esecutiva. Oggi come allora non mi risulta però essere molto utilizzato in Svizzera, dove si continua a preferire altri metodi, soprattutt­o per una questione di durabilità, di facilità manutentiv­a e di maggiore duttilità nel far fronte a sollecitaz­ioni e deformazio­ni non previste in fase di progetto».

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