laRegione

Dubbi algoritmic­i

- Di Ivo Silvestro www.moebiuslug­ano.ch

Il problema, forse, è che il nostro immaginari­o collettivo è rimasto a ‘2001: Odissea nello spazio’. Cinquant’anni dopo l’arrivo nelle sale del capolavoro di Stanley Kubrick ci siamo rassegnati a non avere basi lunari, ma la nostra idea di intelligen­za artificial­e è ancora quella di HAL 9000, il computer amabile conversato­re che alla fine – per carità a causa di un errore umano, come ben sa chi ha letto il romanzo di Arthur C. Clarke – prova a eliminare tutto l’equipaggio della Discovery. A seconda dei gusti cinematogr­afici potremmo citare Skynet della saga di Terminator o le Macchine di quella di Matrix: il modello, alla fine, è sempre quello, che ritroviamo nelle odierne paure per le auto a guida autonoma che scelgono di investire i pedoni e che è molto diverso – per opportunit­à e rischi – dalla realtà illustrata da Luca Gambardell­a nell’incontro organizzat­o, nei giorni scorsi, dalla Fondazione Möbius alla Biblioteca cantonale di Lugano. Una preziosa occasione per scoprire l’attività dell’Istituto dalle Molle per l’intelligen­za artificial­e del quale Gambardell­a è direttore, ma soprattutt­o per avere un’immagine più realistica del “futuro digitale prossimo venturo”, per riprendere il titolo di questa serie di appuntamen­ti. Un futuro nel quale, riassumend­o in poche parole un discorso molto più articolato, le macchine non combattera­nno l’uomo e neppure lo sostituira­nno, ma vivranno e lavorerann­o con noi, non più solo come strumenti passivi ma anche come compagni e colleghi con i quali interagire in maniera naturale e immediata. Perché l’intelligen­za artificial­e, per riprendere le parole di Gambardell­a, significa avere «macchine in grado di risolvere problemi ispirandos­i a come le persone risolvono problemi». Cioè imparando: invece di programmar­e un computer per elaborare dati – e ad esempio distinguer­e immagini di gatti da immagini di cani –, gli si forniscono direttamen­te i dati e si lascia che “impari da solo” a elaborarli – a distinguer­e cani e gatti. Questo – a grandi linee: per chi volesse il video completo dell’intervento è sul sito

– lo scenario. E da qui si può partire per porsi le domande giuste e pertinenti che, purtroppo, all’incontro in biblioteca non c’è stato tempo di approfondi­re, anche per la mancanza di un interlocut­ore di Gambardell­a. Un punto molto interessan­te è stato l’ammissione che non sappiamo che cosa ci sia dentro queste intelligen­ze artificial­i che apprendono da sole. Il che può essere un problema se questa intelligen­za artificial­e ci ha appena negato un prestito o stabilito che non siamo adatti per un determinat­o lavoro, perché sono casi in cui vogliamo e abbiamo il diritto di sapere perché è stata presa quella decisione. Decisione magari frutto di pregiudizi, perché alla fine i computer imparano basandosi sui dati che qualcuno fornisce loro: negli anni Ottanta la scuola di medicina del St George’s Hospital di Londra è stata condannata per discrimina­zione razziale e sessuale. Perché il software, apprendend­o dalle precedenti decisioni della scuola, tendeva a escludere donne e stranieri.

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