Italia: sta riaffiorando il rischio Paese!
All’inizio del mese, Nicola Mai, capo analista di Pimco sui titoli di stato europei, si chiedeva perché i mercati fossero così tranquilli sui Btp e sulla borsa italiana. Più che tranquilli, gli investitori erano parsi piuttosto benevoli: lo spread del Btp sul Bund era sceso di 40 punti da inizio anno e Piazza Affari era salita di oltre il 10%, in netta controtendenza con le altre borse europee (-1% l’indice Stoxx). L’analista di Pimco così spiegava il fenomeno: Italia ed eurozona stanno sperimentando una buona crescita economica; i mercati si sono ormai abituati ai rischi politici; il Movimento 5Stelle ha alquanto mitigato il proprio euroscetticismo; il percorso della nostra finanza pubblica è tracciato dalle istituzioni europee. In conclusione, in un mondo in cui non si sa più dove mettere i soldi, quei 125 centesimi in più di rendimento dei Btp sui Bund rappresentano «un decente, potenziale ritorno». Non passa una settimana e lo spread torna a salire e oggi sfiora i 140 punti, con Piazza Affari in flessione del 2,4% dal massimo di lunedì 7 maggio e il resto dell’Europa, invece, in leggero rialzo. È la logorante e incerta prospettiva di nuove elezioni politiche, hanno commentato gli operatori, vedendo vanificare ogni accordo tra Lega e 5Stelle. Ma, quando nei giorni seguenti s’è intravista la possibilità di un governo tra i due partiti, le cose non sono andate meglio. La sensazione che si coglie tra gli operatori, in particolare anglosassoni, è che stia riaffiorando il rischio Paese: sia nel caso fallisca il tentativo d’accordo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sia che si arrivi davvero a formare una maggioranza.
Sale la diffidenza
La quantità di articoli apparsi in questi giorni sulla stampa finanziaria internazionale e soprattutto i toni con cui, dal ‘Wall Street Journal’ (e le altre testate del gruppo Dow Jones) al ‘Financial Times’, si sottolineano i rischi di un possibile cambiamento di rotta nella politica finanziaria italiana e nei rapporti con l’Europa (oltre che in politica estera) sono il termometro della rispolverata diffidenza verso il nostro Paese: e, sotto alcuni aspetti, la cosa ci rimanda a sette anni fa. La stessa, ritrovata debolezza dell’euro sarebbe per il Wsj un déjà vu. Visto quando? Il giornale americano non lo dice, ma si capisce che vuole alludere proprio alla crisi dei debiti sovrani del 2011. In realtà, le condizioni sono oggi assai diverse, non fosse altro perché l’economia italiana partecipa alla ripresa europea: e pare questa la ragione per cui i grandi investitori internazionali, pur esprimendo timori su una potenziale ‘destabilizzazione’ in Italia (espressione riecheggiata forse da un articolo del ‘Financial Times’), non si sono ancora mossi al ribasso e mantengono quasi intatte le posizioni su Btp e azioni. Per il momento, si guarda con attenzione a come andranno le cose, anche perché la situazione resta alquanto fluida. Più che la grande stampa internazionale, sono le agenzie di rating la spia che segnala il mutamento d’umore tra gli investitori. E al riguardo è utile rivedere cosa ha scritto S&P il 27 aprile nel riaffermare il non molto lusinghiero giudizio di ‘BBB stabile’ all’Italia. Il rating potrà migliorare ‘se il nuovo governo implementerà le riforme strutturali che rafforzano la crescita economica e se ridurrà l’ammontare del debito pubblico’; il rating scenderà se l’economia dovesse stagnare e peggiorassero i conti dello Stato, in particolare se dovesse interrompersi il processo di riduzione del deficit (previsto all’1,9% quest’anno). E qui sta la vera questione poiché, come si capirebbe dalle dichiarazioni di alcuni esponenti della Lega (e in parte anche dei 5Stelle), per disinnescare il potenziale aumento dell’Iva si ricorrerebbe a un aumento del deficit fino al 3%. In ogni caso, mancano al momento le condizioni che scatenarono 7 anni fa la furia dei mercati contro Btp e Piazza Affari. Oltre alle migliorate condizioni economiche, resta la vigile e benevola mano della Bce ad arginare i possibili assalti della speculazione internazionale: almeno fino a quando (ottobre 2019) rimarrà Mario Draghi a dirigere la banca centrale.