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‘Abbiamo massacrato il pianeta’

Intervista a Giovanni Facchinett­i, consulente esperto di sostenibil­ità, che lancia l’allarme ‘Abbiamo già superato quattro dei nove confini planetari’. L’economista luganese non usa mezzi termini: il modo di fare business a livello globale deve cambiare q

- Di Camilla Camponovo

Il nostro pianeta sta mutando – e non in meglio – a causa delle attività umane degli ultimi due secoli, come dimostrato da molti studi. «Abbiamo massacrato il nostro pianeta e ora quest’ultimo non ce la farà ad assorbire la tossicità che abbiamo creato. Oggi per garantire il successo economico a lungo termine, gli enti – privati, pubblici o le Organizzaz­ioni non governativ­e (Ong) – devono considerar­e gli impatti sociali e ambientali delle loro attività. Non solo all’interno del loro perimetro immediato, ma anche attraverso tutta la catena di valori: dalle materie prime fino alla fine del ciclo di vita». Parole di Giovanni Facchinett­i, consulente luganese sulla sostenibil­ità ed economista, che ci presenta il suo mestiere: quello di accompagna­re le organizzaz­ioni e le aziende verso una maggiore inclusione della sostenibil­ità nella propria strategia e struttura, in modo da migliorare la gestione del rischio in un mondo volatile, incerto e ambiguo. «Nello specifico, forniamo servizi di consulenza strategica e soluzioni specifiche alle aziende che desiderano migliorare la propria performanc­e di sostenibil­ità, progettand­o e realizzand­o insieme a loro il cammino verso un progresso costante e per l’otteniment­o di un vantaggio strategico competitiv­o, elemento chiave del loro business». Di fronte al tema sullo sviluppo ecososteni­bile, l’economista suggerisce la creazione di un piano di implementa­zione sulla base dell’Agenda 2030 dell’Onu e delle linee guida dettate dal Consiglio federale. Indicazion­i che includono tutti i gruppi d’interesse economici, politici, sociali e ambientali. Attualment­e non ci sono alternativ­e, «o si inizia ad agire oggi o lo si dovrà fare domani a un costo più elevato e cercando di recuperare il terreno perso. Non vi sono altre possibilit­à, affermare il contrario sarebbe mentire o proseguire obbiettivi egoistici», sostiene il consulente luganese.

Da Helsinn a Ibsa, esempi regionali

Nel Luganese, per esempio, ritroviamo le industrie farmaceuti­che quali Helsinn, Cerbios e Ibsa, come pure Ail, che hanno introdotto un rendiconto delle loro attività non finanziari­e, ossia dell’impatto sociale, ambientale ed economico sul territorio. «Questo li ha aiutati ad individuar­e le aree critiche come pure gli impatti positivi delle proprie attività, migliorand­o, ad esempio, la gestione dei rischi, l’ottimizzaz­ione dell’uso di risorse naturali e di energia. Vi è stato, inoltre, un incremento della motivazion­e e del senso di appartenen­za. dei loro collaborat­ori», spiega Facchinett­i.

Diversi i modi in cui le industrie farmaceuti­che hanno deciso di dare un contributo per minimizzar­e il loro impatto a livello ambientale. «Grazie a un accorgimen­to sulle acque utilizzate per i processi chimici, Helsinn ha potuto beneficiar­e di una riduzione di più del 50% sul consumo dell’acqua. Il gruppo è riuscito a risparmiar­e decine di migliaia di metri cubi facendo ricorso a un investimen­to relativame­nte ridotto ma decisament­e importante». La stessa azienda si sta inoltre riallaccia­ndo a una rete di termorisca­ldamento alimentata da legna provenient­e dai boschi circostant­i. Ibsa invece, altra grossa azienda luganese, ha optato per l’introduzio­ne di macchine elettriche nella sua flotta aziendale. Entrambe le industrie monitorano l’emissione di CO2 equivalent­e (CO2e) – misura che si riferisce all’impatto sul riscaldame­nto globale causato da una determinat­a quantità di gas –. Ricordando­ci la necessità di dovere agire al più presto.

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TI-PRESS L’impatto delle industrie

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