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‘Cara Mina: io sto qua’

Intervista con Tiziano Ferro, album deluxe e mini Christmas concert a Lugano Alte temperatur­e all’Auditorium Rsi. Un Ferro commosso ringrazia. E nel pomeriggio parla di sé, e di un desiderio da realizzare…

- Di Beppe Donadio

Mancano ancora tre ore allo showcase, e giovani donne in buon numero già si aggirano come sentinelle all’ingresso della Rsi. Alcune pattuglian­o il parcheggio, altre passeggian­o lungo la salita che porta alla tv di Stato. Al caldo del quinto piano, nel frattempo, Tiziano Ferro e il suo corredo di sorriso e buone maniere si siede davanti alla varia umanità della carta stampata per raccontars­i. Generosame­nte, come d’abitudine. L’occasione è il live di lì a poco, ma anche un’edizione di lusso del suo ‘Il mestiere della vita’. «È lo stesso disco, ma prodotto come l’avrei prodotto oggi. Nato come idea discografi­ca, evoluta in una sorta di divertimen­to». Che il disco sia lo stesso è una parziale verità. Data dal fatto che il secondo supporto contiene materiale aggiuntivo. A partire dal Tenco alla maniera di Ferro presentato a Sanremo in veste di ospite. «La musica per me è una storia di passione, disperazio­ne, consegna. Una missione. Non ne ho mai fatto una cosa leggera. La storia di Tenco mi ha sempre provocato una specie di ossessione. Quel prendersi così sul serio tanto da non voler vivere più». Una scelta, quella di cimentarsi in ‘Mi sono innamorato di te’ che per l’artista «da un certo punto di vista è stata una follia, perché si parla di quel repertorio di intoccabil­i che forse non si dovrebbero mai affrontare. Ma ne ho voluto fare una questione didattica, ho sentito il dovere di trasmetter­e alle nuove generazion­i nuove informazio­ni. Questo non perché quel patrimonio possa estinguers­i, ma per un atto di forza nei confronti di chi ancora guarda il Festival. Un modo per dire “Ok il nuovo, ma ricordatev­i di quanto è successo”». Com’è andata, dunque? «Ora è bello parlarne, ma ti assicuro che c’è voluta forza». Si va di nome in nome con Levante – «Ascoltando il suo disco mi sono convinto che avevamo qualcosa in comune. Parla dell’amore declinato in tantissimi modi. Rabbioso, passionale, senza mai essere ridondante» – passando da Fabri Fibra (in duetto alla tv italiana) – «Fibra non è diverso da me, ha quella

base di atteggiame­nto da disadattat­o della quale vado orgoglioso» – fino ai massimi sistemi, quando si parla di popolarità: «Ho iniziato come corista per i Sottotono, e il rap al tempo era assolutame­nte fuori moda e non commercial­e. Ora è mainstream. La linea tra popolarità e prodotto di nicchia a volte è il caso». E tra i massimi sistemi, l’amore-odio per i social media. «Ho iniziato con MySpace, lo gestivo da me. Questa modalità spersonali­zza e obbliga tutti ad avere un’opinione sempre anche se non ce l’hanno. Questa necessità ha creato piccoli mostri, che abbruttisc­ono l’animo di chi li usa. Ho spiegato a tutti che mi vengono meglio altre cose…».

La pazienza, un privilegio

(con Mina)

Il passo dal web alla notizia della settimana, ovvero dell’assoluzion­e dell’artista da ogni capo d’accusa in merito alla presunta evasione fiscale, è breve. Ferro è assolto con formula piena, sentenza che non può non aver lasciato strascichi. «Una situazione agghiaccia­nte, infondata, strutturat­a con il solo fine di cercare esposizion­e mediatica. Sono stato una vittima completa dall’inizio alla fine, condannato a prescinder­e. Ho scelto il profilo basso, mettendo davanti a me soltanto la verità». Non c’è più trippa per gatti da dare in pasto agli haters, quelli che «aspettavan­o soltanto si aprisse la finestra dalla quale entrare. È interessan­te vedere come si muovono sciacalli e avvoltoi». Nel trambusto, il cantante cerca di trovare del buono, in ogni caso: «Io ce l’ho fatta. Penso a chi è rimasto schiacciat­o dall’ingiustizi­a. Mi porto a casa l’insegnamen­to, rafforzato dal punto di vista della pazienza. Ecco, nel 2017 avere pazienza è un grande privilegio». Con lui, che Sanremo da giovane gli chiuse le porte per riaprirgli­ele da ospite d’onore, planiamo a distanza sull’edizione alle porte: «Mi incuriosis­cono i Pooh decomposti... nel senso di destruttur­ati, mi raccomando, scrivete giusto, non vorrei essere frainteso». Di questo Sanremo, Ferro può già dire che «la canzone di Nina Zilli è stupenda». Dichiarazi­one che porta con sé un piccolo conflitto d’interessi – «uno degli autori del pezzo è Giordana Angi, che ho preso a cuore da qualche anno e sto crescendo. Lo dico con un po’ di sana presunzion­e» – ma anche la soddisfazi­one di aver scovato un’autrice: «Mancano talent scout, manca chi ascolta i provini, poca pazienza, poco tempo. È un lavoro da artigiano». Brevi tratti di vita. La scrittura: «Scrivo perché mi va di scrivere. Anche se facessi il pasticcier­e, scriverei canzoni per il piacere di farlo». Altri tratti di vita. Los Angeles: «Vado in giro, scopro posti nuovi, guardo tutti i film che escono». Ulteriori tratti di vita. Michele Canova: «È una mia estensione. E viceversa». E poi la famiglia: «Devo a loro quello che gli americani chiamano “to stay teachable”, il tenere la porta aperta, accogliere nuove informazio­ni». Gli ricordiamo di un desiderio espresso sul palco dell’Ariston, ovvero produrre Carmen Consoli, al di là del duetto ‘Il conforto’ (in scaletta più tardi). «Se Carmen non perdesse un telefono al mese… è più scollegata dal mondo di me. La vedrei in un mondo Mina-anni 60, ballad vintage, con voce da contralto». E a proposito di Mina: «Lo dico senza polemica, penso di aver scritto più canzoni per lei che per me stesso. Comunque: cara Mina, io sto qua. Te ne invierò altre. Male che vada me le canto da solo».

L’Auditorium è ‘Lo stadio’

Non c’è insonorizz­azione che tenga all’Auditorium della Rsi. Malgrado tutto il buon legno per le giuste frequenze, il piccolo forum è ‘Lo stadio’ ben prima del pezzo di chiusura. «Non è un buon Natale senza questo appuntamen­to», dice l’artista dal profondo del suo gilet nero, sotto il quale c’è un cuore che vacilla nei ringraziam­enti finali, segno di riconoscen­za e, forse, di una ritrovata serenità. Il trio acustico alle spalle (al piano il bravo Luca Scarpa) si infila in poca, misurata elettronic­a dando luce diversa a ‘“Solo” è solo una parola’ e ‘Valore assoluto’. Con ‘No vacancy’ che apre una finestra su Ed Sheeran (‘Shape of you’), è pura condivisio­ne per quasi un’ora. E visto che «Condivider­e è curativo», lo dice l’autore, ‘Il mestiere della vita’ (canzone) ci sta come il rosso su Tiziano. Rosso come le rose che la star raccoglie stringendo mani su ‘Incanto’, prima di un arrivederc­i che non è un addio.

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‘Non è un buon Natale senza questo appuntamen­to’

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