Quand’è che abbiamo smesso di vestirci a festa?
Secondo Bloomberg, nel mondo occidentale le spese per l’abbigliamento sono in calo. Nel 1977 i vestiti rappresentavano il 6,2 % della spesa delle famiglie americane, oggi la metà. Ho pensato alle solite esagerazioni dei giornali: non per niente ho dovuto interrompere la lettura per portare a termine un ordine di vestiti al volo. Al Guardian il nuovo direttore creativo di Balenciaga ha raccontato che non è più tempo di essere eleganti. Il genio di origine georgiana raccontava di come avesse portato le felpe con il cappuccio sulla passerella di una delle griffedell’empireodellamodafrancese e di come, in fondo, «che si tratti di un cappuccio o di un vestito di haute couture, tutto sta nella persona che lo indossa e pensa: sono contento di ciò che indosso, di come mi sta». Due minuti e mi arriva la newsletter di Gwyneth Paltrow – la metà di noi si è abbonata quando ha annunciato lì la depressione post partume poi lasciarla non sta bene – con l’annuncio di una nuova collezione sportiva. Sorvolerò sulle felpe grigie o sui pantaloni ginnici che ho visto. Del resto GP ci ha spiegato che sonocapipensati per chi fa sport, ma anche per chi ama sentirsi a proprio agio. Nellalineadel tempocheunisce il cachemire di Bertinotti, il pullover di Marchionne e il dolcevita di Steve Jobs c’è un messaggio crescente, ma nonèquellodi stare comodi, bensì di mostrarsi tanto potenti e affermati da poter dire che ogni giorno è uguale e ogni luogo è come casa propria. Del resto, non penserete mica che Chiara Ferragni abbondi in tute e felpe per far stare comodo il pancione? Il benessere ha abolito l’arrosto della domenica e i vestiti delle feste signora mia. Perché anche se si tratta di capi carissimi sempre di felpe e «scarpe da ginnastica» parliamo. O no? Ora non posso dilungarmi: devo raschiare il fondo della carta di credito con gli ultimissimi saldi. Anche le scarpe da ginnastica vanno acquistate. E poi ho detto che la spesa per l’abbigliamento è diminuita negli USA, non da noi.