Cinema dimontagna. Un’arte con la Svizzera dentro
Un’arte con la Svizzera dentro
Il cosiddetto «Bergfilm» ha immortalato le nostre montagne e contribuito a raccontare al mondo intero l’identità elvetica e i suoi valori. Breve storia di questo particolare genere fra alpinisti, cinema d’autore, pionieri, grandi produzioni e successi commerciali.
Dici Svizzera e pensi alle vette innevate. O almeno questa è l’immagine che, con ogni probabilità, unostranieroassocierebbealnostro Paese. Ma, al di là della preponderanza della montagna nel nostro paesaggio, che cosa ha fatto sì che si creasse questa identificazione tra «conformazione del territorio» e identità nazionale? Sicuramente ungrosso contributo è stato dato dal cinema. Se oggi la settima arte ha perso colpi di fronte alla concorrenza di nuove forme di racconto, lungo il Novecento è stata invece fondamentale per costruire un immaginario condiviso sulla cultura elvetica e i suoi valori. E in tutto questo la montagna, come vedremo, ha sempre giocato un ruolo da protagonista, dominando storie e scenografie sin dagli albori del nostro cinema.
Le due anime
Esiste un «cinema dimontagna»? Molti critici e studiosi di cinema si sono interrogati intorno a questo tema, arrivando a concludere che non solo questo genere esiste ed è ben identificabile, ma vi sono anche diverse tipologie di «cinemadimontagna». Lafilmografiaambientata tra rocce e nevi include infatti almeno due anime: quella degli alpinisti e degli appassionati, e quella della cultura cinematografica tout court, che ha trovato in questo particolare elemento naturale una fonte di ispirazione o uno sfondo ricco di suggestioni. Di conseguenza, esiste un vasto repertorio di immagini prodotte da scalatori e amanti dellamontagna, che da sempre hanno imbracciato cineprese e macchine fotografiche per documentare le loro gesta; e, accanto a questo, una ricca produzione alimentata da motivazioni artistiche. Due animemosse da spiriti diversi, ma che per un periodo, e proprio in Svizzera, sono riuscite ad andare a braccetto, grazie a un genere noto come Bergfilm.
Dai Lumière a Fanck
Emerso durante la Prima guerramondiale, il Bergfilm è divenuto un genere popolare negli anni Venti, quando ha trovato una diffusione anche nei Paesi confinanti conla Svizzera. Include pellicole che, viste con lo sguardo «smaliziato» dello spettatore contemporaneo, appaiono ancora incredibili, dal momento che i registi dell’epoca non conoscevano la praticità delle teleca- mere digitali, né potevano sfruttare le previsioni meteo per cogliere i momenti migliori in cui filmare, né facevano usodi strumentidigitalipermigliorare la qualità delle immagini.
Le nostre montagne colpirono i primi professionisti del settore sin dalla nascita del cinematografo: quando, nel 1896, gli inviati francesi dei fratelli Lumière giunsero nel nostro Paese, la prima cosa che vollero imprimere su pellicola fu la peculiarità dei paesaggi alpini. Ed è sempre alla fine dell’800 che l’irlandese Elizabeth Aubrey Le Blond girò i filmchemostrano gli sport invernali a St. Moritz. Questo interesse visivo per la montagna — considerato, come è ovvio, come una vera e propria manna dal settore turistico che si stava sviluppando — si amplificherà nei decenni successivi. Da vari Paesi giunsero operatori che, in competizione con i pionieri elvetici, corsero rischi spesso considerevoli pur di portare alle loro compagnie di produzione immagini sempre nuove. Dal 1903 l’inglese Frank Ormiston-Smith approvvigionò la società di cui era dipendente, la Urban, con una serie di vedute dellemaggiori vettealpine; nel 1913 il tedescoSeppAllgeier girò 4628Meter hoch auf Skiern! Besteigung des Monte-Rosa; senza dimenticare l’attività dello statunitense Frederick Burlingham, fondamentale per lo sviluppo del documentario in Svizzera.
È significativo che il primo filmelvetico di cui rimangano oggi delle copie sia Der Bergführer (1917) di Eduard Bienz, che segnò lanascita delBergfilm. Negli anni seguenti, il genere si sviluppò sia nella Svizzera tedesca ( Im kampf mit dem Berge, 1921, di Arnold Fanck) sia in quella francese ( La croix du Cervin, 1922, di Jacques Béranger). In questo insieme si può distinguere un folto
gruppo di filmin cui l’etica e l’elemento religioso giocanounruolodecisivonella narrazione delle avventure alpine. La vita in montagna è infatti descritta come molto dura, ma anche come ispiratrice di valori quali il senso dello sforzo, la rettitudine e il rispetto delle regole. Ideali che poi si ripercuotono anche nelle sfere del sociale e della politica dei villaggi narrati. Le trame solitamente si giocano sull’antitesi tra un protagonista del luogo – spesso una guida alpina – e un cittadino: da qui discende l’opposizione tra un eroe virtuoso e rispettoso delle regole, e un individuo presuntuoso e arrogante… quando non disonesto. Spesso si tratta di coproduzioni a cui partecipano altre nazioni: questo spiega perché, pochi anni dopo, vengano realizzati film simili anche in Germania, Francia, Italia eAustria. ArnoldFanck, peresempio, il regista più noto del gruppo, dopo i suoi debutti elvetici impose questo modello in Germania. Se il documentario in quel periodo restituisce un’immagine della gente di montagna poco idealizzata, il Bergfilm dona invece valore a questa umanità, attraverso personaggi che incarnano costantemente perseveranza emodestia.
I cliché della fiction
Tra il 1938 e il 1943, il cinema svizzero venne riconosciuto come uno strumento di promozione della coesione nazionale, e di conseguenza finanziato con ingenti sovvenzioni insieme agli altri settori culturali. Nel 1945 la società Praesens-Film produsse un’opera chiave del nostro cinema, diretta da Leopold Lindtberg: Die letzte Chance
( L’ultima speranza, 1945). Il film descrive la fuga avventurosa di un gruppo di profughi dall’Italia in Svizzera: il richiamo oltre i confini nazionali fu tale che, nel 1945, la pellicola raggiunse gli Stati Uniti con risultati lusinghieri. Da qui, per la società si aprì una strada costellata di successi e di respiro internazionale. La ricetta venne confermata da una pellicola che diverrà paradigmatica per la fiction di montagna:
Heidi (1952), di Luigi Comencini. Solo in Germania, il film fu visto da oltre un milione di spettatori; dopodiché fu presentato nella maggior parte dei Paesi europei e negli Stati Uniti, in ben 300 copie. Un tale riscontro portò, di lì a pochi anni, a un seguito, Heidi e Peter (1955), il primofilmsvizzero a colori. Il kitsch dominante nel «mondo perfetto» descritto da questi titoli, costruiti sempre sullo sfondo di imponenti montagne, era molto richiesto a livello internazionale. Se da un lato questi prodotti erano amatissimi dal pubblico
di massa svizzero, dall’altro venivano anche duramente criticati da alcuni media e dalle giovani generazioni.
Dalmainstream alle pellicole d’autore
La storia tratta dal romanzo Heidi di Johanna Spyri (1880) è tornata a interessare il cinema: 62 anni dopo, infatti, ne è stata realizzata una nuova versione, diretta dallo zurigheseAlainGsponer e sempre ambientata nei Grigioni. Ma vi è almeno un altro personaggio letterario, nonché icona del cinema mainstream, che ha coltivato un rapporto strettocon lemontagne svizzere: James Bond. Forse per via della madre di quest’ultimo, Monique Delacroix, originaria del canton Vaud, la Svizzera è stata scelta come scenario per molti episodi della saga. George Lazenby che spinge un cattivo giù dallo Schilthorn ( Prealpi bernesi) in Al servizio di Sua
Maestà (1969) o il celebre salto dalla diga della Verzasca, in Ticino, in Gol
denEye (1995) sono divenute scene cult per cinefili e non. Entrambe le località, peraltro, continuano a trarre profitto dal legame con James Bond: al ristorante girevolePizzoGloria, sulloSchilthorn, ad esempio, per 27 franchi e 50 centesimi è possibile sperimentareuna «colazione con buffet alla 007». Per alcune riprese di Goldfinger sono invece stati scelti il passo della Furka e la regione di Andermatt. Vent’anni dopo, nel 1985, è la regione del Bernina a fare da sfondo a un inseguimento in Vivi e
lascia morire. Sean Connery, il James Bond più amato, è stato anche protagonista del mélo Cinque giorni una estate
(1982), girato inEngadina da Fred Zinnemann e ambientato negli anni Trenta. Le nostremontagne sono poi lo scenario ideale per il genere fantasy, come dimostra il villaggio di Grindelwald, che con le sue montagne ha ispirato le scene sul pianeta di Alderaan in Star Wars: EpisodioIII– LavendettadeiSith.
Anche il cinema più autoriale negli ultimi anni si è lasciato affascinare dai nostri scenari. Un buon esempio è la pellicola Sils Maria del regista francese Olivier Assayas, che sin nella forma rende omaggio al Bergfilm, mescolandolo al melodramma hollywoodiano. La bellezza dell’Engadina, dei suoi laghi e dei suoi monti emerge in tutta la sua potenza in questa vicenda che mescola realtà e finzione: un’attrice torna a teatro per interpretare la pièce che vent’anni prima l’aveva lanciata; ma gli anni sono passati, e ora il suo ruolo è preso da una giovane e promettente nuova interprete. Il regista italiano e premio Oscar Paolo Sorrentino già con
Le conseguenze dell’amore aveva dimostrato di apprezzare il nostro Paese comeset. Youth, l’ultimofilm, è statogirato per 42 giorni (su circa 50 di riprese) tra i boschi e le montagne dei cantoni BernaeGrigioni. MichaelCaineeHarvey Keitel interpretano un compositore e un regista in cerca di ispirazione che si incontrano durante una vacanza in un hotel di lusso sulle Alpi. Qui, immersinel verde, osservanoil trascorrere della vita delle persone che sono loro accanto. D’altra parte, è impossibile non improvvisarsi filosofi negli stessi scenari che ispirarono Lamontagna in
cantata. Ma il rapporto tra lenostreAlpi e la letteratura appartiene a un’altra, lungaemagnifica, storia.