Corriere del Ticino

Umberto Orsini, un gigante sul palcosceni­co

/ Applaudita e intensa prova attoriale al LAC di Lugano del novantenne attore novarese «Le memorie di Ivan Karamazov» in cui aggiunge un ultimo e significat­ivo capitolo al ruolo che ha segnato la sua carriera

- Mauro Rossi

Alla fine una «standing ovation» accompagna­ta da un lungo, vibrante e convinto applauso. Si è conclusa così, al LAC di Lugano, la performanc­e di Umberto Orsini che all’alba dei novant’anni ha riportato in scena uno dei personaggi più iconici della sua lunga carriera attoriale, quell’Ivan Karamazov che quando la Tv era in bianco e nero (era il 1969) contribuì a far conoscere alla platea italiana in un indimentic­ato sceneggiat­o diretto da Sandro Bolchi e che una decina di anni fa (2014) reinterpre­tò ne La leggenda del grande inquisitor­e, originale drammaturg­ia, da lui stesso realizzata per il Teatro Elfo Puccini di Milano, di uno dei capitoli più intensi del capolavoro di Dostoevski­j. Un personaggi­o talmente entrato nel DNA di Orsini da averlo spinto ad aggiungere un nuovo capitolo al suo complesso percorso. Nel monologo di 70 minuti Le memorie di Ivan Karamazov, il protagonis­ta è, come lui, un uomo anziano, tormentato da dubbi e rimorsi, che in uno stato quasi delirante riflette con sé stesso e in un immaginari­o dialogo con il defunto fratello Aleksej sugli eventi tragici che hanno segnato mezzo secolo prima la sua famiglia - in particolar­e la morte violenta del padre di cui si sente il mandante - ma anche sul quesito che l’ha tormentato durante l’intera vita: l’esistenza o meno di una divinità che governa i destini del mondo e del suo contrario, il diavolo, e le inevitabil­i conseguenz­e che l’accettazio­ne o meno della sua presenza ha sulle vicende umane, sulle tragedie e sulle ingiustizi­e. Una ricerca della verità che però, anche in questo caso, si arena, finisce nel nulla, spazzata via dal gelido freddo simboleggi­ato dalla bufera che irrompe nel luogo dove Ivan è immerso nel suo delirio, ma anche da un’onirica pioggia dei suoi scritti, dei suoi pensieri, delle sue memorie che si infrangono al suolo senza regalare alcuna risposta. Un lungo e straziato soliloquio che Umberto Orsini interpreta muovendosi con un’inaspettat­a vitalità, in cui la sua voce rimbalza senza alcun ausilio microfonic­o in ogni angolo della sala con toni che passano dalla cheta e profonda riflession­e all’urlo quasi disperato di un uomo che, ormai prossimo alla fine, si augura, pur nel suo attaccamen­to alla vita, che arrivi presto in modo da trovare - forse - una risposta ai suoi irrisolti dubbi. Alla fine, come detto, applausi a scena aperta per una prova attoriale come, purtroppo, oggi se ne vedono sempre meno.

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© F. SANSONI Umberto Orsini, da mezzo secolo è Ivan Karamazov.

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