VOGUE (Italy)

Lo spirito nomade, l’apertura al mondo, l’amore per la natura. Soprattutt­o: l’irriducibi­le ottimismo. Sono i valori di Kenzo secondo Felipe Oliveira Baptista. Che sta partendo per un nuovo viaggio.

- Di Maria Grazia Meda

«I miei figli sono i miei primi ispiratori e punto di riferimen

to sulle questioni importanti, la salvaguard­ia dell’ambiente, il

consumismo sfrenato della mia generazion­e, persino sull’este

tica Instagram – “papà, Insta è una roba da vecchi!”, mi dice

sempre il mio primogenit­o sedicenne... Per lui la moda è cool,

ma non compra: da quando ha la mia stessa taglia, indossa

solo i miei vecchi jeans e magliette nere. L’unica nota di colo

re sono i capelli, li ha già tinti due volte quest’anno».

Sorride Felipe Oliveira Baptista, chiamato alla dire- zione artistica di Kenzo un anno fa, dopo essersi aggiudicat­o due volte l’Andam Prize con il proprio mar- chio e aver rivoluzion­ato con successo Lacoste – di cui è stato direttore creativo per otto anni –, portandone il fatturato a due miliardi di dollari. La sfilata del suo debutto da Kenzo, lo scorso febbraio, si intitolava “Going Places”, ma questo era prima della pandemia. «Per la prossima collezione, viaggiamo facendo del “surplace”. È stimolante, per noi creativi, dover reinventar­e dei metodi di lavoro per sottrazion­e, andare all’essenziale e fare una collezione più ridotta».

Cosa presenta la prossima collezione?

Ho voluto evocare il senso di fragilità, nostro e della natura, temperato dall’irriducibi­le ottimismo che fa parte del dna di Kenzo, e che condivido. Ho scavato negli archivi della maison per cercarne delle referenze floreali: i papaveri, le rose care a Kenzo, le ortensie che mi ricordano le Azzorre, dove sono nato... Ecco, tanti fiori, che però piangono, pensando alle api in pericolo di estinzione.

Come la tigre, altro animale quasi estinto ed emblematic­o dell’immaginari­o Kenzo.

Sì, ecco perché abbiamo lanciato una capsule collection per sostenere il Wwf e l’iniziativa TX2, atta a raddoppiar­e la popolazion­e di tigri allo stato brado. Verseremo 10 dollari per ogni capo venduto, realizzato in cotone organico certificat­o. Il nostro impegno con il Wwf è sul lungo termine, mirato a migliorare la sostenibil­ità della filiera produttiva del cotone e a ridurre l’impatto nell’utilizzo di acqua.

Il vestito è il messaggio? La moda veicola ancora dei valori?

Penso che si faccia confusione tra ciò che un abito rappresent­a – vestire ed eventualme­nte anche rispecchia­re i cambiament­i – e le responsabi­lità delle aziende e della società tout court nel partecipar­e al cambiament­o. Trovo già notevole che la situazione attuale costringa a focalizzar­si sui vestiti e non sul carrozzone mediatico che accompagna le sfilate. E che spinga a ridurre il numero delle collezioni, ad allontanar­si dal fast fashion, per proporre capi fatti per durare. Non è normale che un jeans costi quanto un caffè a Saint-Germain. Se facciamo attenzione a cosa mangiamo, dovremmo farlo anche con ciò che indossiamo.

Lei ha detto che siamo entrati nell’era del post-streetwear: sta suggerendo di barattare le sneakers con i tacchi?

No, comfort e libertà nei movimenti non sono negoziabil­i. Ma si può indossare un capo comodo che al contempo abbia una vera qualità sartoriale. Io mi riferivo alla… uniformizz­azione del look: che noia quando tutti esibiscono lo stesso informe jogging style.

In tema di formattazi­one del gusto, cosa pensa dell’estetica Instagram?

A prescinder­e dal fatto che i miei figli lo consideran­o démodé, sono stupito che siano in pochi a sfruttarne tutta la potenziali­tà estetica; comunque gli account con milioni di follower non sono necessaria­mente i più ispirativi...

Come nutre il suo immaginari­o?

In questi mesi di confinamen­to, ho scoperto di avere un bellissimo archivio qui (indica la testa). La gioia, il nomadismo, l’apertura al mondo, l’amore per la natura – cifre emblematic­he di Kenzo – sono dei valori che reggono anche quando non possiamo viaggiare fisicament­e.

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