Nel film horror The Rental
L’attrice ALISON BRIE è stata diretta per la prima volta da suo marito Dave Franco. Che l’ha messa in un film horror. Un genere che, però, non le fa nessuna paura perché «è solo la fotografia della nostra società»
Dice Alison Brie – americana, classe 1982 – di aver sempre voluto fare l’attrice. «È quello che sono. Non c’è un prima. Mi sono sempre esibita per qualcuno». Recitare, per lei, è una vocazione. Non l’ha mai messa in discussione. La segue religiosamente fin dal primo giorno. Ha lavorato in serie tv come Community e Glow; ha fatto la doppiatrice, ha preso parte a commedie e drammi. Conosce il suo mestiere. Ne parla come di un aspetto fondamentale della sua vita, come del suo destino. Quando si è ritrovata sul set di The Rental (dal 10 marzo su Amazon Prime Video) con Dave Franco, suo marito, è stata estremamente felice. «Perché volevo fare parte di questo film, come attrice; volevo esserci per lui».
Al centro della trama ci sono due coppie che decidono di andare in vacanza insieme, nella stessa casa. A un certo punto l’equilibrio dei primi momenti viene spazzato via. C’è una tensione palpabile, che aumenta dopo ogni scena, fino alla fine. Gli spazi sono ben delimitati, e il tono stesso della narrazione si affida alla dimensione dell’ambientazione. The Rental è un horror e segna l’esordio alla regia di Franco. «È stata un’esperienza incredibile», racconta Brie. «Ed è stato molto importante per noi, come coppia. Ci siamo già trovati insieme in altre occasioni, ma qui è stato diverso. Dave è stato un regista bravissimo. Mi sono innamorata ancora di più».
PerchŽ?
«Ci conosciamo molto bene, ovviamente. Ma mi sono
«Dobbiamo imparare a METTERE IN DISCUSSIONE il nostro punto di vista, le nostre convinzioni»
sentita supportata e io ho provato a fare di tutto per aiutarlo. Mi sono fidata di lui. E nel rapporto tra un regista e un attore, la fiducia è la prima cosa».
In questi anni, gli horror stanno vivendo una rinascita.
«Riescono a mettere in risalto le contraddizioni della nostra società, a fotografarla con uno sguardo quasi inedito. Affrontano l’attualità. Il genere è solo una scusa. Nel caso di The Rental parliamo di fiducia, del nostro rapporto con la tecnologia e con gli altri, con ciò che non conosciamo. Parliamo anche di razzismo, delle nostre paure e del nostro modo di vivere una relazione».
Che cosa cerca in un nuovo progetto?
«Un punto di contatto con i miei personaggi. Ma non parlo di somiglianze, attenzione. Provo a capire la persona che devo interpretare: i suoi obiettivi, i suoi sogni, le sue ansie. Cerco il giusto approccio. Ma poi ci sono anche la sceneggiatura e le altre persone che lavorano al film. Spesso, mi faccio delle domande precise. Sarà una bella esperienza, sarà piacevole? O sarà terribile?».
È importante saper dire di no?
«Sì. Ti dà un controllo diretto sulla tua carriera e ti definisce come professionista. Dave è stata una delle prime persone a farmelo capire. Non rimpiango nessuna delle scelte che ho fatto. Ma ho sempre avuto paura di dire di no».
In che senso?
«Fare l’attore significa vivere nell’incertezza, in bilico. Mi richiameranno? Avrò un’altra parte, un’altra possibilità? Sono dubbi che ritornano costantemente».
Promising Young Woman
Quest’anno ha lavorato anche a con Carey Mulligan.
«Abbiamo bisogno di film così, capaci di stimolare il confronto e il dialogo. Le persone devono vedere e ascoltare questo tipo di storie. Dobbiamo imparare a mettere in discussione il nostro punto di vista, le nostre convinzioni. E a volte è necessario sentirsi a disagio. I film non devono avere tutte le risposte; né per forza un lieto fine».
Quando ha deciso di scrivere il suo primo film, Horse Girl? «Quando ho visto Dave al lavoro su The Rental. In Horse
Girl c’è una parte della mia vita; c’è la schizofrenia di mia nonna, e c’è anche la mia paura. E per me è stato importante riuscire a raccontare questa storia».
Che cosa ha imparato?
«A conoscermi e a riconnettermi con il mio passato e con la mia famiglia. Mi sono fidata di me stessa, e ho ritrovato la gioia di fare questo lavoro. Artisticamente, sono cresciuta molto. Soprattutto ho capito la natura profondamente pratica di alcune scelte».
Ci si sente responsabili?
«In un certo senso sì. Quando fai l’attore, ti senti più tutelato. Se un film va male, puoi dare la colpa a qualcun altro. Quando produci e scrivi, è diverso. Sei direttamente coinvolto. E devi stare attento».
In che modo lo streaming sta cambiando la nostra idea di intrattenimento?
«Le piattaforme non devono per forza produrre serie e film rivolti a tutti; possono parlare a pubblici diversi, a piccole nicchie. Quando ho lavorato a Community l’ho fatto per un grosso canale come la NBC, con i suoi obiettivi e con le sue necessità. Ora abbiamo l’occasione di sviluppare qualunque cosa, qualunque storia, e di trovare i nostri spettatori».
Le piacerebbe dirigere un film?
«Certo. Ho già diretto alcuni episodi di serie tv. È un lavoro particolarmente difficile, è vero. Devi trovare il tuo equilibrio, e a volte devi scendere a compromessi. Quello che serve, però, è un’altra cosa».
Che cosa?
«La storia giusta».