Vanity Fair (Italy)

CHE NESSUNO RESTI DA SOLO

Il tempo di DOLORES GIANNESSI è prezioso: volontaria della Protezione Civile di Pesaro impegnata senza sosta nella distribuzi­one di pasti e buone parole

- Di FEDERICO ROCCA foto STEFANO SCHIRATO

on la conosco. Non so come sia il suo viso. E non sono nemmeno sicuro di avere inteso bene il suo cognome. D’altra parte, non ho la certezza che anche lei abbia capito davvero quale giornale le stia chiedendo un’intervista.

Quando chiamo il Cup della Protezione Civile di Pesaro, mi dicono di parlare con lei. La cerco all’ora di pranzo, l’ora più tranquilla. Ma ho l’impression­e che Dolores, oggi, non pranzi. Dolores è uno — una qualunque — delle migliaia di volontari che continuano ad assicurare che a contagiati, anziani e comunque a chi non riesca a provvedere da solo, la spesa e i farmaci arrivino a casa tutti i giorni.

NLa richiamo sul cellulare?

«No, no, va bene qui, quello non l’ho mai sotto mano. Luigi, un po’ di silenzio! Vai di là, vai a mangiare! Ecco, mi dica».

È tranquilla adesso? Le ruberò un quarto d’ora... Il suo collega mi ha detto che anche lei, però, non è in grandissim­a forma.

«Ho i miei acciacchet­ti, sì. E un figlio di 28 anni, amputato, che mi aspetta a casa».

Come vive questa emergenza?

«Noi, sempre di corsa».

E lei?

«Sincera? Serenament­e, sono fatalista. Il panico non serve a niente: è la prima cosa da eliminare».

E le persone a cui porta la spesa?

«Gli anziani, poveretti, sono quelli che ne risentono di più. Trovi quello parecchio solo, che magari abita in campagna, che non può muoversi: ti dice grazie per cinque minuti».

Scambiate anche due parole?

«Sono importanti anche quelle, sì».

Di cosa parlate?

«Si sfogano, hanno paura: la solitudine mette paura. Molti non vedono i figli. Ma soprattutt­o gli mancano i nipotini».

Lei ne ha?

«Cinque. Anche io non li vedo da un bel po’».

A lei il virus fa paura?

«Mah, ne abbiamo passate tante. Ho fatto il terremoto, io; sono stata giù a dare una mano fino a quando mio figlio ha avuto l’incidente. Era il 16 aprile 2017. Il giorno di Pasqua».

È di poche parole lei.

«Sì (ride ancora)».

Preferisce i fatti.

«Su questo tema sono un po’ restia, già. Aspetti, stia un attimo lì che c’è la Municipale, è importante».

La linea è disturbata, ma nel ronzio riesco a riconoscer­e voci di uomini che si passano le consegne a fine turno.

Per una donna è più difficile fare volontaria­to?

«No, anzi. Forse sappiamo far sentire gli anziani considerat­i. Per noi è un piacere, non so se mi capisce».

Non pensa mai che avrebbe potuto esserci lei, dall’altra parte della porta?

«No. Ma so che i miei colleghi ci sarebbero sempre».

Arriva a casa stanca, la sera?

«Sì, ma mi faccio una doccia, mi cambio, prendo il cane e gli faccio fare un giretto».

E la testa come si svaga?

«Ho tanti hobby: l’uncinetto, la maglia... le camminate in montagna, su nel mio paese. Ma adesso non si può».

Come si chiama il suo paese?

«Lamoli. Sono posti meraviglio­si, sa? Ma adesso la devo lasciare».

Un’ultima cosa: suo figlio è orgoglioso di lei?

«Lui mi sgrida, ha paura che mi ammali. Ma tanto...».

Tanto...?

«Tanto lo sa che, alla fine, io faccio quello che voglio». ➺ Tempo di lettura: 3 minuti

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