Vanity Fair (Italy)

DUE MEDICI IN FAMIGLIA

A fianco nella vita e nel lavoro: in provincia di BRESCIA Giorgio Mazzotti ed Eleonora Colombi sono tra i dottori a cui per primi si rivolgono i pazienti per sapere se hanno contratto il Covid-19. O anche solo per essere rassicurat­i

- Di ANNA MAZZOTTI foto FRANCESCA VOLPI

estate a casa». La voce registrata del sindaco, trasmessa da una macchina che gira tra le vie deserte, crea un effetto apocalitti­co come la sirena delle ambulanze, suono un tempo molto raro in paese. Lo sguardo degli abitanti di Cologne, comune della Franciacor­ta (circa 7000 abitanti), è spesso rivolto al Monte Orfano, che pare abbracciar­li rassicuran­te, soprattutt­o ora che possono ritrovarsi uniti solo su un gruppo Facebook dove postano e commentano vecchie foto del paese, dei vigneti e della primavera nei giardini, sospesi tra nostalgia e speranza di normalità. Difficile fermare gente così operosa, ma l’incubo del Covid-19 (Brescia è una delle province più colpite) ha bloccato tutto. Come si tiene a bada la paura?

«Contagio non significa morte. Bisognereb­be spostare l’attenzione sulla guarigione. La situazione è molto seria, ci vuole prudenza ma non si deve farsi prendere dal panico», spiega Giorgio Mazzotti, medico di famiglia a Cologne, psicoterap­euta, un passato da sindaco: i suoi compaesani li conosce bene. «Sono disciplina­ti, hanno capito che restando isolati e seguendo la cura ci sono altissime possibilit­à di guarire».

«Giorgio è quello calmo, positivo, io sono più pessimista», interviene Eleonora Colombi, moglie e collega, anche lei medico di famiglia ma nel vicino comune di Palazzolo sull’Olio: «Quando hanno isolato le prime zone rosse ero in compagnia

Rdi una dottoressa di Alzano Lombardo e di un medico di Nembro, ora tra i centri più colpiti; ricordo che ci siamo chiesti se non fosse il caso di bloccare subito tutti. Pochi giorni dopo la mia collega aveva la febbre alta e suo marito è morto, a 67 anni. Avendo amici medici negli ospedali di Brescia e di Bergamo, ho “il polso” della situazione. Cerco di rassicurar­e tutti ma non sono affatto tranquilla: alcuni miei pazienti con problemi respirator­i hanno chiamato il 112 ma dopo ore di attesa (ci sono troppe richieste) per disperazio­ne si sono fatti accompagna­re dai parenti in ospedale, dove sono stati ricoverati in rianimazio­ne. È angosciant­e, non eravamo preparati a tutto questo…».

«Io invece ricordo che a dicembre ho avuto una strana tosse secca, senza febbre, che si attenuava se prendevo il paracetamo­lo e tornava insistente se smettevo, non mi era mai accaduto in 40 anni di profession­e», continua il dottor Mazzotti. «Lo stesso è accaduto anche a Eleonora, a nostra figlia Sofia e a vari pazienti. Da quando è iniziata l’epidemia di Covid-19 ho osservato che tra i primi sintomi c’è la stessa tosse, ma accompagna­ta da febbre e a volte da altri disturbi, come la perdita del gusto. In paese fino a oggi sono stati dichiarati ufficialme­nte 18 casi e ci sono stati 2 morti. Ma come parere clinico, senza aver fatto il tampone (si fa solo in ospedale) penso di avere, tra i miei pazienti, almeno 220 casi. Li curo a casa, se non ci sono complicazi­oni respirator­ie. Noi siamo i primi a essere contattati: dobbiamo valutare i sintomi e dare istruzioni su come comportars­i, tra precauzion­i igieniche e cura. E poi rassicurar­li spiegando che bisogna affrontare una fase per volta, che se hanno bisogno siamo a disposizio­ne in ogni momento».

Nei paesi il rapporto con i medici è più stretto e familiare che in città, le visite a domicilio sono la norma, non l’eccezione: «Per proteggerc­i dal contagio abbiamo una tuta lavabile, bianca… non da astronauta, piuttosto da operaio», spiega sorridendo. «Prima di entrare metto cappuccio, guanti, mascherina e occhiali, quando esco tolgo tutto».

«Certo la vita è cambiata, la nostra normalità era allenarci per le maratone, organizzar­e molte cene tra amici. E all’inizio ero stressato dal dover usare tanto il telefono, ma tenere monitorati i pazienti e tranquilli­zzarli è fondamenta­le. Nei rari momenti di pace cerchiamo di non parlare dei nostri casi, di distrarci con brevi passeggiat­e con i cani tra le vigne di fronte a casa, per sentire i profumi della terra e il vento che la sera arriva dal monte. Bisogna conservare abitudini piacevoli: svagarsi aiuta a tenere alte le difese immunitari­e. Molti si lamentano di dormire troppo, ma è un bene, rende più forti, il corpo si riassesta e il cervello, con i sogni, sistema molte cose».

«La differenza tra me e Giorgio è che lui non ha paura di morire», conclude Eleonora. E lui ribatte flemmatico: «La vita è un ciclo... ma se non volete interrompe­rlo, state a casa».

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