Vanity Fair (Italy)

MICHAEL KORS: New York-Milano, un party elettrizza­nte. Special guest Naomi Harris

- Di ESHKOL NEVO

CAPITOLO 3

Riassunto dei capitoli precedenti

Ronen Amir, turista israeliano di 29 anni, è rimasto ucciso sulla Strada della morte in Bolivia mentre era in luna di miele. La sua vedova, Maya Amir, è in lutto. Quando Omri, un giovane divorziato che li ha incontrati durante il viaggio, arriva a porgerle le sue condoglian­ze, Maya lo ignora, ma un attimo prima che lui se ne vada gli infila in mano un foglietto su cui è scritto: prosegui fino alla fine della via e aspettami. Durante la conversazi­one che segue, in un luogo isolato, si scopre che i due si erano baciati durante la luna di miele e che la morte di Ronen non è stata un incidente.

Vuoi che ti racconti qualcosa di non stupendo che ho fatto?

Please.

Ho esitato. Da un lato non volevo giocarmi lo sguardo con cui Maya mi aveva guardato fino a quel momento: uno sguardo pulito, non ancora annuvolato da conti e offese e dall’esperienza della parte oscura dell’altro…

D’altro canto mi era chiaro che se volevo sapere in che modo suo marito era caduto nel baratro e perché lei era lì con me invece di starsene a casa a piangerlo, dovevo darle qualcosa in cambio.

Dunque – ho esordito – quando sono… rientrato dalla… Bolivia?

Sì.

Orna, la mia ex moglie, ha improvvisa­mente fatto dietrofron­t riguardo agli accordi presi nella mediazione, insisteva per ridurre i giorni che Liori trascorrev­a con me. Ha detto che Liori da me non avrebbe trovato un ambiente stabile perché mi ero licenziato dal Conservato­rio senza avere un altro lavoro fisso e poi mi ero dileguato all’estero per due settimane. Insomma ero instabile, proprio come mio padre. A quel punto le ho telefonato, le ho detto che la volevo vedere di persona. Lei ha risposto che preferiva davanti agli avvocati. Le ho spiegato che per lei era meglio se gli avvocati non presenziav­ano a quello specifico colloquio. Mi ha incontrato quella stessa sera in un caffè del quartiere che era stato il nostro. Le ho spiegato che se non tornava immediatam­ente al precedente accordo riguardo alle visite, avrei informato l’Agenzia delle entrate della gestione poco pulita del suo ufficio. Ha ribattuto che non poteva credere che io fossi caduto così in basso. Io ho insistito che se non voleva che il suo «nuovo capitolo» cominciass­e in prigione, faceva meglio a ricalcolar­e le sue mosse. Lei ha detto, Omri, sono io, perché fai così? E io mi sono alzato e sono uscito dal caffè, senza pagare. Ma perché ha detto tutte quelle cose su di te? Perché in effetti… dopo il divorzio sono andato in crisi. E mio padre davvero è una nullità. E io davvero non sono un granché a tenermi un posto fisso e a portare avanti gli impegni, ma Liori? Lei non se n’è mai accorta. Con lei sono solido come una roccia.

Ti credo.

Tu senti solo la mia campana. Per te è facile credermi. Ma, ha esordito, e poi è ammutolita.

Ma cosa? ho chiesto.

La mia storia è… molto peggio, Omri.

Mentre pronunciav­a questa frase, ha risposto al mio tocco per la prima volta. Le sue dita delicate si sono strette intorno alle mie dita tozze come se volesse assicurars­i che non fuggissi dopo aver sentito cosa aveva fatto. All’anulare portava ancora la fede.

Insomma, cos’è successo? le ho chiesto.

Non ha risposto, respirava a fatica. Ha chinato la testa come un animale che si sottomette a un altro più forte.

Mi capita, mentre sto in silenzio insieme a un’altra persona, di sentire una canzone. Come la colonna sonora di un film. A volte capisco istantanea­mente perché proprio quella canzone. Altre solo a posteriori.

Sei ancora più bella quando sei ubriaca/non distingui fra bene e male/e nemmeno la bellezza lo fa.

Mi sono salite alla mente le parole della canzone dei Knesiyat Hasechel Let Love In.

Senti, ho detto, mi è venuta un’idea. È una cosa che Orna e io facevamo nella terapia di coppia…

Che evidenteme­nte è stata un successone, ha commentato Maya rialzando la testa.

Sono scoppiato a ridere e ho pensato, non ho mai avuto una donna con un bel senso dell’umorismo, è sempre stato compito mio, far ridere.

Ho proseguito: ogni volta che… uno di noi faticava a dire qualcosa, la terapeuta proponeva che passassimo alla terza persona.

Alla terza persona?

Lei, lui, loro.

Come in un racconto? Tipo «C’era una volta una ragazza con i ricci a cui piaceva un ragazzo, e allora partirono per una luna di miele illudendos­i che fosse tutto a posto?».

Preciso. Continua.

D’accordo. «Ebbene la ragazza… Quella con i ricci, di una cosa era assolutame­nte certa prima della luna di miele: conosceva bene suo marito. Erano insieme fin dal liceo, insieme si erano mancati da morire durante il servizio militare, insieme avevano vissuto in un monolocale per tutta l’università, lui studiava matematica al Politecnic­o e lei aveva cambiato quattro facoltà fino a scegliere definitiva­mente di prendere una laurea magistrale come assistente sociale clinica. Quando entrambi ebbero terminato gli studi, più o meno in contempora­nea, si convinsero che era il momento giusto per un viaggio all’estero, il classico “viaggio post militare” che non avevano mai fatto, sennonché c’era un problemino: non avevano un soldo. A quel punto ebbi, anzi, la proprietar­ia dei ricci ebbe, un colpo di genio: sposiamoci a casa dei tuoi, nel giardino, i tuoi amici dell’orchestra si occuperann­o della musica, da mangiare lo prepariamo noi, e con i soldi che ci regalerann­o partiamo per il Sudamerica. Andò proprio così. Lui non le fece nemmeno una proposta ufficiale, era chiaro a entrambi che era per tutta la vita, e se anche lei provava qualche volta curiosità nei confronti di altri uomini – insomma, era pur sempre una fanciulla capace di restare minuti interi indecisa davanti ai gusti del gelato – fino a La Paz non le concesse mai di sollevare la testa, e anche lì, alla fin fine, se lui non avesse cominciato a comportars­i in modo strano, non sarebbe successo niente».

*

Omri, ma riesci a capire qualcosa con questa terza persona?

Sì.

Ho la sensazione che sia successo a un’altra. Quando lo racconto così.

È proprio quella l’idea.

Magari fosse successo a un’altra. Sta per piovere, Omri. Vuoi indietro la giacca?

No, continua.

*

«Cominciò già sull’aereo. Lui si lamentava tutto il tempo. Del cibo. Del servizio. Della qualità del suono negli auricolari del film. Ma lei quel tempo bianco se lo godeva. I sobbalzi dell’aereo sull’oceano lo rendevano nervoso. Lei invece si sentiva in pace. Alla sua destra sedeva un uomo con una giacca elegante che giocava con un oggetto che sembrava un cubo di Rubik potenziato. Gli chiese cos’era, e così si avviò una piacevole conversazi­one. Ronen non fece commenti, ma quando si trovavano al nastro delle valigie buttò lì: sai, non sei costretta a fare amicizia proprio con tutti. Lei non aveva alcuna esperienza di frecce avvelenate lanciate dalla sua direzione, perciò si limitò a non rispondere. Quando arrivarono all’ostello era insoddisfa­tto anche della camera e insisté perché si spostasser­o in un’altra. La notte parlò nel sonno, parole che non si univano in frasi: non gli capitava da quando suo padre era morto.

Dopo qualche giorno era ormai chiaro che gli stava succedendo qualcosa di brutto. Non le sorrideva, era sempre impegnato a risparmiar­e e a calcolare quanto avevano speso quel giorno e quanti soldi restavano. La notte parlava da solo e non si lasciava toccare, ogni volta che lei lo sfiorava si ritraeva come se fosse infettiva, e l’unica volta che avevano fatto sesso l’aveva presa con rabbia, come se lei gli avesse fatto un torto. Lei aveva protestato, non mi piace così, e lui si era inalberato, cosa c’è, non si può sperimenta­re qualche volta? e da quel momento aveva perso ogni interesse per la… intimità con lei e si era rintanato dall’altra parte del letto. Se però erano con altre persone, in autobus o in un caffè o nella lobby dell’ostello, le stava addosso, non la lasciava nemmeno andare in bagno senza chiederle dov’era diretta».

Che incubo.

Aspetta Omri, al vero incubo non ci siamo ancora arrivati.

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