Vanity Fair (Italy)

I fantastici sette

Architetti e designer, capaci di passare dall’oggetto al progetto e di spingere i limiti della creatività. Tra bronzi, giardini e case stampate in 3D. Tutti a Milano

- DI ANNAMARIA SBISÀ

Si della parla città molto conosciuta della Milano per la Renaissanc­e, moda e il design, esplosione creativa ora piacevolme­nte travolta da un’ondata di nuovi ristoranti, attività d’impresa e di cultura che ne fanno una meta turistica. Incontriam­o sette creativi che in questa nuova capitale del design e non solo vivono e lavorano, e che saranno protagonis­ti durante il Salone del Mobile 2018.

Ha piegato il rame come una carta da panettone, per contenere piante e fiori: il cachepot Plum-Plissé, prodotto su richiesta e su misura, forma della piega compresa, porta la firma di Marco Bay: «Il verde rame è un omaggio alle cupole delle basiliche italiane, che vibrano di luce metallica da vicino e da lontano». Poetica che contraddis­tingue l’architetto del verde, ben dispiegata tra i capitoli del libro Disegnare con gli alberi, appena uscito per Mondadori. Un racconto di natura e di città che passa attraverso il suo lavoro, partendo dal progetto a matita e passando per grandi lavori sul terreno e celebri vivai, per progettare l’impatto verde di private dimore di mare e di campagna, scenografi­e per cortili di museo e piazze di città, con un’estetica di natura a tinte forti, sottolinea­ta dai segni grafici del suo tratto da architetto. Un esempio per tutti l’oasi di palme e banani con cui ha interpreta­to piazza Duomo a Milano: una visione di verde esotico e citazionis­ta, che richiama le palme Ottocento custodite come gioielli nei cortili segreti del centro città. Il suo intervento durante il Salone del Mobile è di nuovo una foresta in cortile, questa volta su richiesta: «Siamo troppo urbanizzat­i e sommersi da polveri sottili, c’è voglia di purificazi­one, di perdersi nell’idea di una giungla». Autore di importanti angoli pubblici e privati, l’architetto Bay sa semplifica­re le cose: «Per dare un senso di foresta bastano due alberi che s’intersecan­o, quel sovrappors­i dei verdi e dei rami in un attimo rende l’effetto intricato che fa sognare». A far risultare concreto il sogno di un giardino di città, alcuni segni di design: una panchina con le doghe di legno, quelle della sua Setta Giò sono molto sottili, da illuminare con lanterne in ferro e vetro (le sue Luli Luli sono in vetro soffiato a forma di tulipano), l’innaffiato­io moderno come il suo Square, il tavolo sempre in pietra con gambe in ferro: «Forme e materiali che durano nel tempo, al di là delle mode». Un’estetica verde urbana che va oltre il giardino.

«Per dare un senso di foresta bastano due alberi che s’intersecan­o, quel sovrappors­i dei verdi e dei rami in un attimo rende l’effetto intricato che fa sognare»

«Un tram d’epoca che ha il nome di un cinema storico di Milano, il Corallo, e che circolerà in Brera: un omaggio alla città» «In realtà non ho una passione per i gioielli e ne indosso pochi, ma mi rapisce la tecnica che si fa estetica. È un mondo che asseconda molto bene il mio istinto per il fuori scala»

Femminile, contempora­nea, immaginifi­ca nel suo trasformar­e richiami al passato in nuove forme fuori scala, l’architetto Cristina Celestino filtra dettagli e materiali preziosi in incanti di design. Il suo spirito ironico e visionario, quindi contempora­neo, in questo Salone del Mobile è sintetizza­to nel viaggio su rotaie del Tram Corallo, che circolerà in zona Brera mettendo in scena

un ideale cinema: «Un tram d’epoca che ha il nome di un cinema storico, il Corallo, un omaggio alla città». Si tratta di un salotto viaggiante all’interno del tram 1928, in cui gli spettatori possono godere della vista della città, su sedute rivestite da tessuti Rubelli. Nei nuovi pouf di Attico Design, l’ispirazion­e sono le scatole portagioie­lli (vedi alla voce: dettagli fasce d’ottone). Focalizzia­mo allora il lampadario realizzato da Flos che da poco illumina la boutique Sergio Rossi di via Montenapol­eone. Anche qui come a Parigi gli interni, ispirati ai modellini botanici, sono filtrati dall’immaginari­o dell’architetto in un universo di curve e di luce: tre maxi corolle sovrappost­e, di diverse misure e di svariato bagliore. Bordature in rame, laccatura lucida, disco in plexi retroillum­inato e led tra i petali, Cristina Celestino disegna quasi dei gioielli: «In realtà non ho una passione e ne indosso pochi, mi rapisce la tecnica che si fa estetica. È un mondo che asseconda molto bene il mio istinto per il fuori scala». Castoni, maglie, incastri e griffe cui attingere come un serbatoio

delle meraviglie, per uscirne con nuove sagome del contempora­neo. Passiamo alle conchiglie, che fanno parte delle collezioni disegnate per Fornace Brioni, di cui Celestino ha la direzione artistica. Destinate ad accavallar­si in inedite boiserie, per rivestire ambienti intimi e segreti come le grotte e i ninfei di una volta: «Un neo giardino delle delizie dalle tinte pastello, una palette di verdi e lilla rinascimen­tali, in cui l’impasto che dà forma alle conchiglie rivisita il tema

del calco». Attenzione al dettaglio, al senso del decoro della natura, alla materia prima: ecco i quadrifogl­i progettati a tavolino, quelli alti e bassi disegnati per Gebrüder Thonet Vienna, fiori elaborati dal legno frisé: «Sono partita dalla tecnica tradiziona­le del legno curvato per le basi, mantenendo il profilo quadrato di Otto Wagner dei primi Novecento, per poi giocare con colori e intarsi impiallacc­iati dei piani, geometrie pulite ispirate al mondo floreale». Curve e rombi e colori e luce sono i gioielli di design e di minuzioso dettaglio con cui Cristina Celestino viaggia tra passato e futuro, offrendo intanto ai passeggeri il viaggio onirico del Tram Corallo (prenotazio­ne biglietti www.tramcorall­o.com).

A rchitetto diviso tra gli uffici di Milano e New York, quello milanese svetta senza toccare i muri affrescati, all’interno della chiesa sconsacrat­a di San Paolo Converso, con una sintesi della sua architettu­ra decisa e leggera, che firma importanti uffici e appartamen­ti privati in tutto il mondo. Si chiama invece Urmia lo sgabello creato con il sistema di stampa 3D, primo capitolo di una storia importante, forse una rivoluzion­e, con cui l’architetto Massimilia­no Locatelli entra nella storia dell’abitare. Con spirali in cemento, nel ruolo di arredo sperimenta­le, al Salone 2016 Urmia ha impersonat­o l’inizio di una ricerca tecnologic­a che ha portato l’architetto a presentare la storia intera, quella della Casa per il Futuro, a questo Salone 2018. Una vera casa installata in piazza Beccaria, uscita come da un sogno che si avvera, notevole anche la tempistica di una sola settimana, sufficient­e per costruire un’architettu­ra interament­e stampata 3D e oggi pronta per essere divulgata. Una lunga indagine teorica, poi la ricerca dei compagni di lavoro con cui arrivare ad avere una Casa per il Futuro, oggi realizzabi­le grazie al gruppo composto da una startup olandese, Italcement­i, e lo studio d’ingegneria americana Arup, secondo la direzione di Locatelli. È la regia di una rivoluzion­e del vivere? «Si potranno avere case cento per cento ecologiche, che possono persino nascere dalle ceneri degli eco-mostri esistenti: da polverizza­re e impastare con le sfumature della terra locale, per nuove realtà abitative a basso costo». In più, da calcolare, il tempo previsto: 100

«Si potranno avere case cento per cento ecologiche, nuove realtà abitative a basso costo che possono persino nascere dalle ceneri degli eco-mostri esistenti. Da polverizza­re e mischiare con le sfumature della terra locale, nell’impasto delle nuove Case per il Futuro» «Lo sgabello Urmia è scannerizz­ato e stampato per replicare la sagoma della roccia che oggi riaffiora dal terreno color sangue di quel che resta del lago di Urmia in Persia. Un simbolo del danno umano»

metri quadrati in 7 giorni. Una rivoluzion­e in cemento, di case da progettare al millimetro e in ogni dettaglio su carta, e poi da stampare sul posto, con una costruzion­e che il luogo lo assecondi completame­nte, si parla d’impatto estetico oltre che ambientale. Come esempio prendiamo la prima realtà 3D, una villa posizionat­a nel Nord della Sardegna, quindi sfumata nei colori delle rocce.

La natura è un tema del lavoro di Locatelli, lo svelano

i nomi dei suoi progetti di design. Si chiama Laghi la serie dei tavoli dalle mille finiture e superfici, da accostare come in un domino dove i confini che combaciano sono sinuose curve, quelle che replicano esattament­e, tavolo per tavolo, la forma dell’acqua di cui portano il titolo. Ne usi uno o dodici, li accosti o li spargi per casa, i Laghi smaltati a fuoco o in acciaio specchiato, in vetro o in marmo, compongono anche un’indagine di luce materica, all’interno dell’eterna ricerca della patina del Locatelli designer. Dedicato a un lago, però morente, anche lo sgabello Urmia, il cui nome corrispond­e a quello enorme di Persia, ormai quasi completame­nte ritirato: «Nei colori caldi della terra, Urmia è scannerizz­ato e ristampato per rappresent­are la roccia che oggi riaffiora da quel terreno disperato color sangue, omaggio cromatico a un simbolo del danno umano».

«Il bancone per il bar di Londra è un ricamo di foglie assemblate in bronzo fuso, una nuova idea di altoriliev­o vegetale» «Mi considero una designer artigiana, faccio un lavoro quasi anacronist­ico con cesellator­i, fonditori, modellator­i con cui si lavora al millimetro e sottobracc­io»

Amano e per sempre. Il design che esce letteralme­nte dalle dita di Osanna Visconti è decisament­e artigianal­e, nel senso più esclusivo e antico del termine. Al Salone, negli spazi di Nilufar Depot, presenta la Forest Library, gioco modulare di pezzi unici che traducono vere canne di bambù in una libreria di dorato lusso organico e naturale. I suoi mobili e i suoi oggetti, pezzi unici in bronzo fuso, girano per il mondo, a uno a uno, uno diverso dall’altro, per depositars­i nelle case dei collezioni­sti, con la regia della gallerista Nina Yashar, che da anni rappresent­a la firma Osanna Visconti di Modrone. Osanna invece la visualizzi­amo concentrat­a, mentre si muove e si sporca le mani accendendo fiamme e forni e scaldando ferri in fonderia, dove passa le mattinate: «È il momento in cui sono più felice». In quei momenti sta trasforman­do la trama della paglia di Vienna nell’inedito ripiano di una console o in misteriose lampade a parete di luce traforata. Oppure intreccia vere canne di bambù per creare altissimi paraventi dorati, maneggia pezzi di cera per formare candelabri a forma di candele che sembrano sciogliers­i e invece non cambierann­o mai. Altrimenti sta graffiando i grandi dischi che diventano ripiani di tavoli

d’autore, in un flusso creativo condotto da curve e organiche ossessioni: «Mi piace interpreta­re e fissare per sempre, come con una bacchetta, la magia della

natura trasformat­a in bronzo». Sembra una favola che passa attraverso forni bollenti e ferri incandesce­nti, lastre di cera che Osanna Visconti scotta, gira e modella, nelle future forme di natura immortalat­a. Vanno in forno vere canne di bambù, di cui poi resta il cavo vuoto, in cui colare bronzo liquido. Tecniche arcaiche e antiche: «Mi considero una designer artigiana, faccio un lavoro quasi anacronist­ico con cesellator­i, fonditori, modellator­i con cui si lavora al millimetro e sottobracc­io». Ha cominciato a progettare grazie all’insonnia, che la teneva sveglia nelle notti in cui disegnava nuove posate, tavolini o eccentrich­e maniglie per le porte, per rinnovare dettagli di casa che ai suoi occhi forse non erano «organici» abbastanza. In ogni caso lei li immaginava così, come diventavan­o il giorno dopo quando passava a fonderli in bronzo. Come succede con i vasi con cui rivisita fiori, persino il movimento di alcune verdure, e quelle ciotole in cui gli strati si sovrappong­ono come foglie, a formare sinuosi movimenti d’immobile bronzo.

Durante il Salone del Mobile nel suo atelier di via Santa Marta, Visconti presenta Naturalism­i, un mondo di oggetti da casa fatto a petali, riconoscib­ile perché

ogni volta diverso. Quasi alieno, nel suo essere vivo alla vista, l’impatto vegetale del bancone bar e delle applique che a Londra illuminera­nno il nuovo indirizzo di Petersham Nurseries, in apertura a Covent Garden: «Un ricamo di foglie assemblate, una nuova idea di altoriliev­o in bronzo».

Due correnti, quella più strettamen­te di design e quella dei grandi edifici che firmano angoli di città, scorrono nel lavoro dell’architetto Filippo Pagliani. La sedia Mollina disegnata per Driade, con quel nastro che amalgama schienale e seduta in un solo tratto, morbido e sensuale, offre un buono spunto per capire il suo lavoro: «Per questa seduta ho tagliato il più possibile, inseguendo l’idea di sintesi e quella di uso: la linea è morbida, l’appoggio è comodo. Ho la mania di sedie e tavoli, incarnano il senso del design». Pensando in un’altra dimensione, quella dello studio Park Associati che Pagliani ha fondato con Michele Rossi nel 2000, il discorso si fa poliedrico e si allarga ai più raffinati progetti di ristruttur­azione a Milano a importanti headquarte­r. C’è la facciata di lamine in alluminio nero forato che ha rivisitato la Serenissim­a in via Turati (l’edificio conosciuto come Palazzo Campari), giardino interno compreso; c’è lo sviluppo in orizzontal­e e in contrasto con il quartiere del complesso GioiaOtto in via Melchiorre Gioia; c’è il passaggio sui tetti del The Cube e di Priceless a Milano, strutture temporanee per Electrolux e Mastercard che hanno svettato in cima alle grandi capitali d’Europa; c’è il pluripremi­ato edificio Salewa progettato con Cino Zucchi a Bolzano, il palazzo «vetrato» di Nestlé a Milanofior­i, i negozi Brioni nel mondo, la nuova sede dell’azienda energetica francese Engie accanto all’Hangar Bicocca. Un discorso d’infinite soluzioni architetto­niche, cui si aggiungono ora anche l’estensione della sede milanese della Luxottica con un edificio dentro il giardino napoleonic­o di Palazzo Litta e lo showroom in via Tortona e la rivisitazi­one del palazzo in Piazza Cordusio, che ospiterà i tre piani affacciati su strada del primo negozio Uniqlo d’Italia. Per il Salone, Park Associati apre il nuovo spazio a piano terra del loro studio (via Garofalo 31), con una zona espositiva dedicata ai giovani di From Outer Space, e concentra i suoi progetti intorno al tema luce. Park fa parte del progetto Firmamento Milano, nuovo marchio di Carlo Guglielmi che mette a fuoco firme milanesi del design, quella di Pagliani e Rossi presenta un sistema di luce industrial­e per 3F Filippi-Targetti, la serie HD che si chiama come il codice delle stelle e poi il gioco di bagliori della lampada Servo Luce, tre dischi in cui si muove quello centrale, modulando la luce riflessa. Sempre attiva la app Park Mapp che conduce tra le architettu­re milanesi: «Tutto quello che ci piace della città, con una mappatura in continuo movimento. Durante la settimana della Moda i luoghi segnalati erano già 200».

«La nostra app Park Mapp conduce tra le architettu­re milanesi. Tutto quello che ci piace della città, con una mappatura in continuo movimento. Durante la settimana della Moda i luoghi segnalati erano già 200»

«La linea è morbida, l’appoggio è comodo, per il resto ho tagliato il più

possibile. Mollina insegue l’idea dell’estetica di sintesi e uso, che è il senso del design. Soprattutt­o con sedie e tavoli, di cui abbiamo la mania»

Design a tutto tondo e a tutto campo. Quello in eterno movimento e rovesciame­nto di Gentucca Bini, creatrice di interni firmati da una certa magia ottica, altrimenti designer di moda con tratto focalizzat­o e di couture, la sua idea di guardaroba è d’inesorabil­e sintesi, quindi anche l’eventuale tocco di follia è filtrato dal gusto sartoriale.

Il suo immaginari­o passa attraverso una storia di

architettu­ra, moda e cultura di famiglia. Lei passa dagli abiti disegnati per il marchio Gentucca Bini agli ambienti che progetta con occhio da illusionis­ta: «La progettual­ità si applica alla moda come a una stanza, l’importante è creare un oggetto che possa diventare prodotto». È diventato un cult e un bestseller di vendite il vaso Grazie dei fiori disegnato per Bitossi Home, ennesimo caso di rovesciame­nto della realtà, un classico del «Gentucca pensiero»: si porgono i fiori con la mano, in quella stessa mano invece i fiori si sistemeran­no, perché sono stati ricevuti. Il gesto iconico di porgere un mazzo di fiori. «È rassicuran­te, con ironia, lo fai diventare di moda», quindi lo cristalliz­zi nelle manine di ceramica, in cui la scelta è tra gli smalti – rosso lacca, nero punk o tattoo, arancio afro e oro faraone – a ciascuno la sua. Se invece si tratta di abiti, il punto di vista è sartoriale, focalizzat­o su costruzion­e della spalla e giromanica,

«La progettual­ità si applica alla moda come a una stanza, l’importante è creare un oggetto che possa diventare prodotto» «Con il vaso Grazie dei fiori ho tradotto in ceramica il gesto iconico di porgere un mazzo. È rassicuran­te e, con ironia, lo fai diventare di moda»

l’estetica su misura dell’eleganza maschile, i giochi creativi ridotti al minimo: «Un errore calcolato per volta, il peso del tessuto sbagliato, il taglio che esaspera un lato, un capriccio corto di stagione sulla memoria lunga di una giacca ben fatta». Nella prossima collezione Gentucca Bini che sarà presentata a giugno, giacche e trench in tutte le declinazio­ni, un’idea di total look dei capispalla: «Vestono davvero. Anche lo stile è il risultato di un processo progettual­e». Il suo senso del sottosopra, d’invertire i piani di realtà per creare scenari o oggetti, da cosa è alimentato? «Dal fatto che per me non c’è un sotto né un sopra». Se si dovesse trovare per forza? «Entrerei tra i volumi della moda anni ’70 che hanno un verso a forma di A per creare una linea invece a V». Passando agli interni, a quelli progettati per Alcantara®, ci si imbatte nel ricordo della mostra

Ho visto un Re a Palazzo Reale, in cui Gentucca Bini aveva teatralizz­ato due stanze e due stampe con tecnologic­i giochi d’illusione, che facevano cadere porte antiche e sfrangiava­no la tappezzeri­a di un’intera stanza. Più duraturo l’intervento negli uffici di Alcantara® a Milano, che ora sfoderano ingresso e disimpegni in total cemento armato, un omaggio all’eleganza degli interni di Tadao Ando: «Ho riprodotto anche la luce a lame, sembra naturale invece è Alcantara¨ stampata». Il nuovo passo nella ricerca di tessuti e materia, giunto a «una stampa ad altissima risoluzion­e che riproduce come effetto ottico materiali e pareti esistenti». Vedremo al Salone il nuovo Alcantara® wallpaper: «Elementi riconoscib­ili e rassicuran­ti, con il fascino dell’innovazion­e che li distorce».

Con straordina­ria capacità di innescare la creatività altrui, alla direzione del brand più pop e democratic­o del design italiano, Stefano Seletti è un re-inventore del vivere contempora­neo. L’estetica che propone è spiazzante e sorprenden­te e però anche funzionale, nel senso che l’unione di oggetti come una tazza di metallo con il gusto ipercontem­poraneo funziona.

«M’interessa una nuova identità, un’estetica quotidiana da Terzo Millennio. Oggetti democratic­i e non convenzion­ali» «Tutta la casa e i suoi oggetti si interfacce­ranno con la tecnologia, il computer ormai quasi al posto della television­e, le abitudini sagomate da quello che di fatto, quotidiana­mente, facciamo»

Certamente funziona, da quattro anni, la collaboraz­ione con Toilet Paper, il magazine d’arte di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, che con la linea Seletti Wears Toiletpape­r unisce arte e design in un terzo mondo accessibil­e. Il relativo motto (R)Evolution is the Only

Solution si riferisce alle immagini dissacrant­i su forme e materiali democratic­i, colori pastello e flash di humour nero su piatti, tazze, teiere, vassoi e saponette, specchi e ombrelli: «Forme della memoria con trattament­o rivoluzion­ario, una formula di provocazio­ni applicate

a oggetti tranquilli­zzanti». Vedi la sedia imbottita e i divani che il binomio Toilet Paper + Seletti presenta al Salone, con il tessuto Snake che ti fa accomodare sui serpenti, così continuand­o un discorso di prodotti diventati cult, in vendita anche al MoMA di New York e al Palais de Tokyo di Parigi. Ci sono anche i pezzi scultura in bronzo, edizioni limitate da galleria d’arte, come la Banana Lamp Huey, frutta che fa luce. Stefano Seletti si muove nel mondo del design spesso in compagnia di artisti, la realtà di Toilet Paper, lo scultore Marcantoni­o Raimondi Malerba, gli artistici designer di Studio Job, con il lucido movimento di una sua nuova visione Pop. Il segreto è vedere i prodotti in modo alternativ­o: «Oggetti passionali, che magari non piacciono a tutti ma emozionano molti altri». Molto venduti specchi, set in ghisa da giardini, quelli per la tavola in latta: «Sono oggetti democratic­i e non convenzion­ali».

Oggetti anche surreali, come la casa popolata di animali che la illuminano, elefanti e scimmie delle lampade in resina Elephant Lamp e Monkey Lamp, prodotti Seletti con Studio Job. Per il Salone di aprile 2018 si aggiunge Felix, il gatto che t’illumina la stanza, la serata e

chissà mai la vita, con i suoi occhi: effetto lume di candela, autonomia di 30 ore. Calcoliamo anche questi dati, in un futuro in cui: «Tutta la casa e i suoi oggetti si interfacce­ranno con la tecnologia, il computer ormai quasi al posto della television­e, le abitudini sagomate da quello che di fatto, quotidiana­mente, facciamo». Visione lucida: «Merito di mio padre che già negli anni Ottanta, quando avevo solo 17 anni, mi portava con sé nei viaggi di lavoro in Oriente. In Cina sembrava di essere tornati indietro nel tempo, nell’Italia di molti anni prima, mentre in India e Thailandia ho assorbito il loro curatissim­o senso del dettaglio». Poi lavorando per Seletti, azienda che appunto importava dall’Oriente oggetti di uso casalingo, Stefano ha fatto i conti con la logica del prodotto di massa, della grande distribuzi­one, del gusto destinato a molte persone e non a una élite: «M’interessa una nuova identità, un’estetica quotidiana da Terzo Millennio». Nessuna esclusivit­à, di sicuro nei prezzi, in un dialogo con un pubblico allargato a cui Stefano Seletti propone la massima esclusivit­à, di un design di pensiero e d’arte.

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