Seguo le scie
Gradevoli o insopportabili, ELISABETTA CIPRIANI non può fare a meno di dedicare attenzione agli odori che la circondano. Ma il suo iore prediletto è proprio quello che non profuma
Forma ed essenza. Una scultura e una fragranza: in comune hanno la necessaria dose d’incanto, la di erenza sta nelle tracce, che il fugace regno degli odori non lascia. Ma non sempre. Rendere sinuosa la materia o persuasiva un’essenza sono attività che s’incrociano, nel mondo interiore di Elisabetta Cipriani. A Londra, la gallerista di wearable art – gioielli commissionati ai grandi artisti, prossimo progetto in autunno con Ai WeiWei – ha forgiato un lavoro che appaga la passione per i gioielli e quella degli incontri con i creativi, accanto all’altrettanta attenzione che, da sempre, la Cipriani dedica agli odori: «Buoni o cattivi, è una mania: li amo o non li tollero». Nella sua galleria: «Nessun e etto tecnologico o 3D, prediligo calore e sostanza, sculture in sintonia con il corpo». È arrivata a essere una rma grazie a una fuga da tutto, senza nulla in cambio: «Ho lasciato Roma e i privilegi seguendo solo l’istinto. Appoggiata a casa di amici, ho fatto venti colloqui in due settimane». Ricomincia dal gallerista BenBrown, addetta alle vendite, poi da LouisaGuinness, precorritrice dell’indossabile arte dei gioielli cominciata con Caldere oggi esplosa, c’ èlafolg orazione. Che l’ ha portata al primo progetto in proprio conTat suo Miyajima, artista giapponese conosciuto investe dico-curatrice del Macro di Roma: tre anelli Time Ring, oro e Led con cui leggere l’eternità del tempo. Da quel 2009, un susseguirsi di collaborazioni in esclusiva, un successo a cui come sempre si arriva da lontano, dalle radici delle proprie visioni. Ecco le sue, d’infanzia. I gioielli dispiegati sul letto dalla madre che sceglieva quello per la sera: «Li indossavo e immaginavo una vita adulta». Parallelamente, gli odori: dei libri nuovi, delle gomme da cancellare, della colla, quello goloso dei pennarelli Uniposca che metteva addirittura in bocca, l’invidia per la cartoleria profumata delle amiche, l’inseguimento delle scie, della pizza bianca del fornaio e dell’erba appena tagliata, no alla raccolta di alloro e rosmarino per creare i suoi profumi: «Mettevo le foglie nell’acqua, al buio, e aspettavo qualche giorno». Fino agli 11 anni il profumo in boccetta è la Violetta di Parma, poi Anaïs Anaïs di Cacharel, poi nisce la scuola. Un corso serale di gemmologia «non mi bastava, volevo disegnare i miei gioielli». La dissuadono, quindi gli studi in Storia dell’Arte, insieme ai ricordi di quando accompagnava mamma e nonno antiquari a Londra a caccia di pezzi speciali. La vita adulta la porta tre anni al Macro, poi a Londra si mettono insieme tutti i pezzi: gioielli e design d’artista, e tutti gli odori. Quello di sabbia a Pechino, di carcasse in India e spezie a Marrakech, l’odio per l’aria condizionata che li esaspera tutti, «anche in macchina apro i nestrini», no all’opposto segreto, incarnato nel Carnal Flower creato da Dominique Ropion per Frédéric Malle, inconfessato profumo: «Non lo svelo mai, è la seconda pelle». Dettaglio importante, per chi scende dai taxi dall’odore sbagliato mettendo subito i vestiti a lavare, in casa vietato l’aroma di cucina «anche se buonissimo», escluso cicoria in padella e ciambellone nel forno, solo fragranze neutre in bagno, con l’eccezione di un deodorante al kiwi, non si sa perché. Un perché di tutto lo troviamo, riunendo il discorso in un ore, la prediletta e inodore orchidea: «Bella, sexy, femminile». Alla ne la forma batte l’essenza? Risponde la wearable art: «Il gioiello perfetto è inodore, nessun retrogusto di metallo». Ultima chiusura del cerchio: «Il mio anello di bambina era a forma di orchidea».