IL RE DI SPADE È UN TIPO VANITOSO
S icuro che sei un giornalista di Vanity Fair? Se non è vero, vengo a cercarti sotto casa, sappilo». Nessun intervistato aveva mai messo in dubbio la mia identità di intervistatore tanto quanto Paolo Pizzo. Ma almeno, lui, ha i suoi buoni motivi. Pochi giorni prima di conquistare l’oro ai Mondiali di Lipsia, il secondo della sua carriera dopo quello del 2011, lo spadista catanese, 34 anni, è stato vittima di uno scherzo da parte dei suoi colleghi di nazionale. Uno dei tanti, uno dei più terribili. «Eravamo in ritiro a Formia. I miei tre compagni di squadra e Rossella Fiamingo (bicampionessa del mondo di spada nel 2014 e nel 2015, ndr) mi dicono che Vanity Fair vuole fare un servizio su di me. Arriva il fotografo, un loro complice. Mi fa posare sotto il sole per un’ora. Continua a lamentarsi. Dice che non sono capace di fare un’espressione intensa. I miei compagni continuano a ridere in disparte. Poi, vedendomi in difficoltà, mi spostano da parte e iniziano a farsi fotografare loro, beccandosi i complimenti del fotoreporter. Inizio a urlare contro tutti: “Questo servizio è su di me, che c’entrate voi?”. Quando sto per svenire dalla rabbia e minaccio di andarmene, mi rivelano che è uno scherzo. E ho paura che questa intervista sia solo la continuazione…».
Non lo è, mi creda. Vuole dire qualcosa ai suoi compagni simpaticoni?
«Sì, di comprare Vanity. Mi vedranno davvero. Almeno spero…».
Che rapporto ha con loro?
«Complicato. Un giorno dobbiamo gareggiare insieme nel torneo a squadre, quello dopo dobbiamo trafiggerci a vicenda nel torneo individuale. Negli ultimi anni siamo stati aiutati dal mental coach».
Il mental coach?
«Luigi Mazzone, ex spadista e ricercatore in neuropsichiatria infantile. Durante i ritiri e per tre volte a settimana, ci prende da parte, ci fa sedere attorno a un tavolo e invita ognuno a rivelare quello che pensa degli altri».
Immagino le urla.
«Ce ne diciamo di tutti i colori. Litighiamo sulla tecnica, sulla strategia, persino su chi deve andare per primo nelle docce». Lei nel gruppo chi è? «Io sono “l’operaio” in pedana e “l’animale da combattimento” fuori». Partiamo dalla pedana. «Combatto in modo furioso, tutt’altro che elegante. Ma riesco a fare punti, quindi va bene così. Questo oro mondiale è una risposta a chi in questi anni ha continuato a criticarmi».
E fuori dalla pedana?
«Specie prima di una gara sono asociale, tendo a uscire poco e a socializzare ancora meno. Non riesco a sostenere una conversazione che non m’intrighi. Preferisco andare via. Mi spiace solo per mia moglie, che deve “sopportarmi”».
Lavinia, ex campionessa di pentathlon moderno. È stata la prima ad abbracciarla dopo la stoccata vincente che le è valsa l’oro a Lipsia. Che cosa le ha detto?
«Mi faceva il verso, ripetendomi all’orecchio le mie parole: “Non ci credo”. Ma io non ci credevo davvero, alla vittoria. Come a questa intervista». Si rassicuri Paolo Pizzo, operaio della scherma. È tutto vero.