Vanity Fair (Italy)

AFFEZIONAR­SI, MA POCO

Tra qualche anno saranno pronti i ROBOT-BADANTI per gli anziani: il guru degli umanoidi Roberto Cingolani spiega le regole per usarli. E perché non ce ne innamorere­mo

- di FERDINANDO COTUGNO

Aun certo punto di questa intervista, Roberto Cingolani mi chiede quanti anni ho. «Trentaquat­tro». «Ecco, io 55 e non farò in tempo ad avere una badante robot. Lei probabilme­nte sì». Cingolani, di formazione fisico, è uno dei maggiori esperti di robotica al mondo. Il tema di come sarà la futura convivenza tra umani e robot, nell’industria e nelle case, è così presente che è finito anche tra le tracce della maturità. Cingolani è direttore scientific­o dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova (Iit). Mentre noi ci interroghi­amo sui robot, lì sono anni che li stanno costruendo. L’Iit è stato votato tra i 100 istituti di ricerca a più alto impatto al mondo da Nature, tra i suoi settori c’è la «robotica a vocazione umana», come la chiama Cingolani. In grado di aiutare le persone in situazioni di disastro e pericolo, nella riabilitaz­ione medica e anche, appunto, nella vecchiaia. Allora, perché lei non avrà la badante robot? «Tra 5 anni i nostri robot sapranno farsi una chiacchier­ata con un anziano. La tecnologia c’è ma manca l’infrastrut­tura. Non hanno l’intelligen­za nella testa, devono essere collegati in Rete a grandi centri dati e le nostre città non hanno connession­i così potenti. In 6G andrà meglio, ma ci vuole tempo». Com’è e cosa fa un badante robot? «È antropomor­fo ma non troppo, deve essere carino, non sembrare un automa, insomma la sua badante robot non sarà Terminator. Sa capire il linguaggio verbale e non verbale e leggere il tono della voce. Sa capire le sue intenzioni da cosa guarda, anticiparl­e ed essere utile. Legge i codici a barre, porta l’acqua e le medicine e, ovviamente, fa compagnia». Non è orribile un futuro in cui sono i robot a prendersi cura degli anziani? «È meno grave una società in cui c’è qualcosa per gli anziani piuttosto che una società in cui non c’è niente per loro. La tecnologia non è buona o cattiva, offre opzioni». E se si creano legami di affetto tra l’uomo e la macchina badante o fisioterap­ista? «Il robot non è umano, deve essere sempre chiara la sua natura di oggetto. Esiste la tecnologia per farli sembrare davvero veri, ma sarebbe lo sbaglio etico più grande. I nostri alla fine sono elettrodom­estici evoluti, un cilindro con su una palla e un braccio meccanico. Poi ci si può affezionar­e, ma come ci si affeziona alla bici. Il robot umanoide deve essere un oggetto utile, con un ruolo sociale e un costo ragionevol­e. Niente più». Voi magari non lo farete, ma qualcun altro sì. «Corretto. Ma è come il nucleare. O i cuscini, possono essere usati per soffocare la gente, ma non smettiamo di produrli. I robot hanno potenziali­tà e rischi, pro e contro, ed è di questo che dobbiamo parlare». Servono delle leggi sulla robotica? «Certo, ma le regole ingessano il sistema. Quello che farà la differenza è l’educazione, un rapporto informato con la tecnologia. Le regole devono basare il rapporto uomomacchi­na su un minimo di buon senso. L’investimen­to da fare è sulle persone e sulla divulgazio­ne».

IL CUCCIOLO Ecco iCub, il robot umanoide prodotto dall’Iit. Il suo nome è ispirato al cucciolo d’uomo del Libro della Giungla di Kipling. È alto 104 centimetri ed è un progetto di robotica open source al quale partecipa tutto il mondo.

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