CASI IRRISOLTI
MIGRANTI, VACCINI E PD:
Rifugiati di serie B
La settimana scorsa sono sbarcate 12 mila persone in 48 ore e il governo ha ipotizzato, come extrema ratio, di chiudere i porti. Una mossa, forse, soprattutto politica per sottolineare (ulteriormente) all’Unione Europea le difficoltà dell’Italia nella gestione del costante flusso migratorio. I soliti noti ne hanno approfittato per gridare all’invasione, invece c’è soprattutto un problema di gestione. A sentire Matteo Salvini, pare che sia in corso un assalto di migranti, ma non è il solo a esserne convinto: secondo un sondaggio Ixè per Agorà (Raitre), l’83 per cento degli italiani pensa che ci sia un’emergenza immigrazione. Qualche dato aiuta a capire perché non è così. Secondo uno studio dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, gli sbarchi sono certo cresciuti: da una media di 25 mila l’anno nel decennio 20042013 a 170 mila l’anno nel triennio 2014-2016. E nel primo semestre del 2017 c’è stato un incremento del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tuttavia l’immigrazione netta (sbarchi più immigrazione legale, meno il numero dei migranti che lascia l’Italia) è calata a 305 mila persone nel triennio 2014-2016 rispetto alle 350 mila persone all’anno nel decennio precedente (20042013). Oltretutto, sempre più stranieri lasciano l’Italia: tra il 2010 e il 2016 il numero è raddoppiato e oggi sfiora le 150 mila persone. Naturalmente, a ciascuno il suo: nel 2015 l’Ue aveva preso l’impegno di ricollocare 35 mila richiedenti asilo verso altri Stati membri dell’Ue entro il settembre 2017. Al 27 giugno, però, erano stati tuttavia ricollocati solo 7.277 richiedenti asilo. Pochissimi se confrontati con le 13.500 persone soccorse in mare il giorno prima, il 26 giugno. Chi vuol chiudere le frontiere è disposto al massimo a concedere aiuto a chi fugge da una guerra, cioè alla minoranza dei migranti. «Possiamo calcolare», dice l’Ispi, «che per ogni 100 ingressi in Italia l’anno scorso almeno 85 fossero attribuibili a ragioni prevalentemente economiche». Ma perché si è giustificati a scappare soltanto da un conflitto armato e non dalla povertà?
Medici incompresi
«Ai miei tempi non si faceva il vaccino per il morbillo e si stava bene così!». I treni sono perfetti per ascoltare il cosiddetto Paese reale alle prese con le proprie certezze. Chi sdottoreggiava sorseggiando il caffè forse non sapeva (ed è vivo per testimoniarlo, per fortuna) che prima della vaccinazione su larga scala del 1980 morivano 2,6 milioni di persone l’anno per il morbillo, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il problema è che le sciocchezze dei treni non rimangono sui vagoni, ma si diffondono; nelle famiglie, a scuola, sui gruppi WhatsApp dei genitori. Pochi giorni fa a Monza un bambino malato di leucemia è morto di morbillo. Non è chiaro se a contagiarlo siano stati i due fratellini, entrambi non vaccinati, ma non è questo il punto, secondo il virologo Roberto Burioni. «Proteggere una persona immunodepressa dal morbillo è difficilissimo in quanto chi ha contratto il morbillo è infettivo anche i due giorni prima dell’insorgere della malattia. Curarla è impossibile: non abbiamo farmaci efficaci. L’unico modo in cui possiamo difendere queste persone è attraverso l’immunità di gregge, che è vera quanto la forza di gravità». E c’è un solo modo per ristabilire l’immunità di gregge: aumentare la copertura vaccinale. Ma sembra una lotta impari, quella della medicina, con il sapere antiscientifico. «Esiste un diffuso sospetto», scrive Frank Furedi nel saggio Che fine hanno fatto gli intellettuali?, «nei confronti dell’autorità scientifica, e quanti cercano di estendere i confini di tale conoscenza sono spesso accusati di “giocare a fare Dio”. Questo tipo di accuse non si rivolge solo alle persone impegnate in aree controverse come la ricerca genetica o la nanotecnologia, ma anche a quanti cercano di pervenire a una migliore comprensione della salute umana in generale». Medici compresi, purtroppo.
#Matteostaisereno
Dopo la sconfitta del centrosinistra alle amministrative, è partita la caccia grossa al segretario del Pd. Romano Prodi usa una metafora da campeggio e dice di vivere in una tenda «vicino al Pd», poi aggiunge che la tenda è stata ripiegata e messa nello zaino (per andare dove non si sa). Dario Franceschini, bussola per capire gli orientamenti della maggioranza, dice che qualcosa s’è rotto. Walter Veltroni dice che «Renzi è una risorsa, ma…». Ecco, caro Matteo, quando cominciano a dirti «sei una risorsa» significa che butta male: #matteostaisereno.
La MENO nuova strategia politica del centrosinistra sembra copiata da una vecchia trasmissione di Renzo Arbore: «Meno siamo e meglio stiamo». CAINO