TV Sorrisi e Canzoni

Gianluigi Nuzzi

Al via l’appuntamen­to di Rete 4 con gli avvincenti casi di cronaca di Quarto grado «Per seguire alcune storie lascerò lo studio e indagherò in prima persona» racconta a Sorrisi lo Sherlock Holmes di Mediaset

- di Andrea Di Quarto

Ora indaga sul campo

Le trasmissio­ni televisive vanno in vacanza, il crimine purtroppo no, anzi, in estate spesso avvengono i delitti più efferati. Ecco perché “Quarto grado”, l’approfondi­mento giornalist­ico condotto da Gianluigi Nuzzi con Alessandra Viero, che torna in onda venerdì, ha già una scaletta densissima. «Comincerem­o con l’attualità, occupandoc­i del delitto di Elisa Pomarelli, avvenuto nel piacentino ad agosto» ci spiega Nuzzi «ma più avanti avremo un’esclusiva molto importante sul delitto di Roberta Ragusa. Per l’occasione io stesso sto realizzand­o un servizio da inviato, una delle rare volte che lo faccio».

Come mai proprio quel caso?

«Lo ritengo emblematic­o. Il marito è stato condannato in Cassazione, ma manca il corpo della donna. Un corpo che darebbe pace a chi vuole pregarla e risposte a chi, come i figli di Roberta, ritengono che il papà non sia l’assassino».

Che rapporto avete con gli inquirenti? In fondo siete quelli che spesso riaprono casi in cui loro ritengono di avere già fatto tutto il possibile...

«Il rapporto è buono, collaborat­ivo. Gli inquirenti sono i primi a capire che la tv offre degli strumenti che possono rivelarsi utili. Banalmente il solo mostrare un

identikit in tv lo rende visibile a milioni di persone e può portare risultati importanti. Inoltre per molta gente è più facile confessars­i in tv che non andare in caserma e firmare un verbale».

I miei vecchi caporedatt­ori m’insegnavan­o che se un delitto non ha una svolta nelle prime 48 ore quasi sempre rimane insoluto. È ancora vero?

«È statistica­mente ancora abbastanza vero. È anche un dogma, però, eroso dai progressi della scienza nelle investigaz­ioni. Oggi le nuove tecnologie possono cambiare le carte in tavola. Prendiamo il caso di Yara Gambirasio. L’ergastolo a Massimo Bossetti è stato possibile grazie a nuove tecniche impensabil­i 20 anni fa».

A un ipotetico stagista quali regole base darebbe?

«Nei miei libri cerco, studio e seleziono migliaia di documenti. La raccolta di informazio­ni è la cosa più importante, così come la lettura degli atti. La nostra curatrice Siria Magri e la caporedatt­rice Rosa Teruzzi divorano chilometri di carte. Se non sai, come fai a raccontare?».

E sul campo?

«Avere un pizzico di malizia, velocità, astuzia e molta determinaz­ione».

Trucchi?

«Penso che in questo lavoro ci sia una profondità psicologic­a che si racconta poco. Il nostro lavoro è profondame­nte relazional­e. Una persona si deve fidare di te per confidarti una cosa, deve trovare l’agio e il ristoro per credere che con te si possa condurre una battaglia. Sono dei ponti che bisogna sapere costruire con chiunque, anche con chi ti sta antipatico».

C’è rivalità con i colleghi?

«In genere c’è una sana competizio­ne. A volte invece è un po’ meno sana... Non amo chi va dai parenti delle vittime e dice: “Parlate solo con noi”. O gente che pur di carpire un’intervista si spaccia per psicologo, medico. Ho visto di tutto: un giornalist­a che si finge medico e non solo non è

medico, ma neppure giornalist­a!».

I delitti, dal punto di vista del racconto, sono tutti uguali?

«No. Ogni delitto è figlio di un dramma e ogni dramma è unico, perché c’è l’individual­ità dei soggetti che non è replicabil­e. Poi le modalità possono assomiglia­rsi, ma ogni delitto ha una sua identità nera che va scoperta. Dietro ci sono sempre delle storie uniche».

Perché i delitti che fanno più scalpore sono quelli dell’uomo comune?

«Un delitto di mafia non viene raccontato dai grandi media a meno che non sia una strage. Appartiene alla criminalit­à, non alla comunità. Sono storie che possono più ispirare la cinematogr­afia che essere raccontate dalla cronaca dei grandi giornali. Un delitto in ambito familiare, invece, sollecita molto di più l’apprension­e e lo stupore: ti colpisce di più l’incensurat­o che uccide, non il killer pagato per farlo».

C’è un grande caso di cronaca che avrebbe meritato un racconto migliore?

«Il caso Orlandi. Non si è mai raccontata la storia dei depistaggi: chi e perché ha speculato ai danni di questa povera ragazza. Questa parte svelerebbe esattament­e chi ha avuto un ruolo nella vicenda. Manca un bel libro sui grandi depistaggi italiani».

È un annuncio?

«Oh no, sto lavorando ad altro, ma è presto per parlarne». ■

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? UNA COPPIA COLLAUDATA Il giornalist­a e scrittore Gianluigi Nuzzi (50) con la collega Alessandra Viero (38). Sono al timone del programma dal 2013.
UNA COPPIA COLLAUDATA Il giornalist­a e scrittore Gianluigi Nuzzi (50) con la collega Alessandra Viero (38). Sono al timone del programma dal 2013.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy