FACCIA D’ANGELO
«Altro che sex symbol, voglio parlare della fragilità che ci rende migliori» dice la star, alle prese col doloroso divorzio dalla Jolie
Brad Pitt in un intenso primo piano del 1988 (aveva 25 anni). Il servizio è a
La qualità che lo secca di più è quella per cui è più amato: essere un sex symbol. E si rifiuta di rispondere a domande sull’argomento. Eppure quando me lo sono visto davanti, prima a Cannes e poi a Venezia, ho avuto conferma che il “marchio” è decisamente meritato: a 55 anni gli occhi azzurrissimi e i capelli biondi di Brad Pitt restano ineguagliabili. E non è certo un caso se quel furbacchione di Quentin Tarantino, nel suo film, gli fa togliere la camicia per esibire i muscoli ancora scolpiti (con la scusa di un’antenna da riparare su un tetto) tra fischi e deliri del pubblico femminile.
Dalla vita allo schermo
Eppure lui vuol parlare dei film, ed è comprensibile. Anche perché sul fronte personale le cose non vanno così bene: Brad è impelagato in una furibonda battaglia legale per l’affidamento dei figli dopo il divorzio da Angelina Jolie (voluto da lei). Ed è proprio nelle pellicole che ha messo il senso dei suoi tormenti. Prendiamo “Ad Astra”: il film, che ha presentato a Venezia nei panni di protagonista ma anche di produttore (quindi con pieni poteri su ogni dettaglio della storia), è una riflessione sulla desolazione e la fragilità di un uomo troppo solo e pieno di problemi familiari, appena mascherata dall’ambientazione fantascientifica. E lui, che giura di aver ormai risolto i suoi problemi con l’alcol (ha frequentato gli Alcolisti anonimi per più di un anno), conferma: «Il mio Roy, l’astronauta protagonista, è abituato a nascondere dubbi e debolezze. All’inizio è imperturbabile, ma poi il viaggio nel cosmo diventa anche un
viaggio alla ricerca del padre e dei veri sentimenti che prova per lui. Anch’io sono figlio e padre, e mi sono rispecchiato nella storia. Ho ferite che mi porto dietro fin dall’infanzia e a quelle mi sono ispirato. Perché il mondo ci chiede di nascondere le nostre debolezze, la nostra fragilità, ma quando sono riuscito a guardarle in faccia ho migliorato il rapporto con gli altri e, soprattutto, con me stesso».
Figlio e padre
A proposito del rapporto col padre, Brad ricorda che «aveva una compagnia di camion in Missouri, mentre mamma era una consulente scolastica. Gente seria e senza pretese: lui mi ha insegnato a cavarmela sempre da solo. Come quando, con pochi dollari in tasca, mi sono trasferito a Hollywood per fare l’attore: prima di sfondare mi mantenevo lavorando come autista di limousine, barman o trasportando elettrodomestici». E Brad, invece, come padre com’è? «Non perfetto. Avrei voluto essere più presente. Non sempre ci sono riuscito, stress e lavoro me lo hanno impedito. Ma cerco di migliorare».
Io & DiCaprio
In “C’era una volta a... Hollywood”, invece, Brad si è messo al servizio del genio di Quentin Tarantino, che ricostruisce da par suo la Mecca del cinema nel clima libertario e innovatore del 1969. Eppure anche qui Pitt stupisce, accettando di fare da spalla a Leonardo DiCaprio, di cui interpreta la controfigura. Nessuna rivalità tra star? «In realtà sto cercando di mettere un po’ da parte le mie smanie di protagonismo ed è per questo che ogni anno dedico più tempo ed energie al ruolo di produttore. Voglio raccontare grandi
storie ma non per forza con la mia faccia. Posso farlo anche aiutando giovani di talento. Per cui no, nessun problema. Lavorare con Leonardo è stato facile e sapere di avere il meglio dall’altra parte dell’inquadratura è sempre un sollievo».
Le botte con Bruce Lee
Intanto è già diventata di culto la scena in cui Cliff/Brad Pitt si lancia in un duello a base di cazzotti e kung fu nientemeno che con Bruce Lee (interpretato dall’attore e stuntman Mike Moh): «È stato divertente, non avrei mai pensato di poter fare a botte con lui!». ■