Procrastinare può generare PANICO, alla lunga, ma in certi casi migliora LA QUALITÀ delle nostre DECISIONI
CC’è un libro, sul mio comodino, che reclama le ultime venti pagine. È un libro bellissimo, che mi incanta a ogni riga. Immancabilmente però, dopo averlo poggiato accanto a me decido di dare una scrollata a TikTok, rido come una scema davanti ai video più assurdi e ci passo le ore. Buonanotte, il libro è lì che aspetta. E mi sbaglierò, ma sono convinta che anche tu avresti cose più urgenti, più importanti da fare che leggere questo articolo. Siamo tutti cintura nera di procrastinazione, anche se abbiamo capito da un pezzo che procrastinare è dannoso. Non che quei piatti non possano aspettare un altro po’ prima di essere lavati, non che quella telefonata al dentista non possa attendere un paio di giorni ma – su cose più serie - a lungo andare tutto questo tergiversare si trasformerà in una fonte di stress, di malessere. Pensiamo tutti che procrastinare abbia a che vedere con una cattiva gestione del tempo, in parte è così, ma in realtà si tratta spesso di complicata gestione delle emozioni. Non lo fai perché temi di farlo male, di non essere all’altezza del compito, perché non hai fiducia nelle tue capacità. Ora che ti ho depressa un po’ voglio darti una piccola buona notizia (che non è un’assoluzione): procrastinare spesso può migliorare la qualità delle nostre decisioni e del nostro lavoro. A volte non si tratta di pigrizia o indolenza, solo di un moto prudente che ti dice di aspettare il momento giusto. Capita soprattutto se il compito che ti aspetta è di tipo creativo e allora procrastina per bene: fatti un appunto, esci per una passeggiata corroborante, magari dormici su, rimugina un po’ e quell’idea si farà più nitida e vincente. E bada bene, ho detto passeggiata non a caso, un video di TikTok o un qualunque passatempo scemo non accendono nessuna lampadina. Se invece sei un procrastinatore cronico (ci fosse il partito, vincerebbe qualsiasi elezione) la faccenda è diversa. Ora lungi da me instillare qualsiasi tipo di senso di colpa, ma prova a chiederti quante volte hai dovuto lavorare durante il weekend – o la notte - perché nel corso della settimana ti sei imbambolato davanti alle meraviglie di Google
Earth: tutto bellissimo certo, il mondo è meraviglioso, ma ora che la scadenza di una consegna si avvicina sopraggiunge il panico e sei costretto a dare buca a un amico, a tuo figlio, alle lasagne di mamma, indolente che non sei altro. C’è un blog illuminante e divertente, lo scrive il giornalista Tim Urban e si chiama Wait But Why. Urban suddivide la procrastinazione in due categorie: quelle – più pratiche - dove in un attimo sei preda del terrore perché ti sei preso un impegno che fatichi a rispettare e quelle che non hanno una data di scadenza. Da quanto tempo hai deciso di mollare quella relazione che ti fa star male? Eppure sei ancora lì. La seconda categoria è quella più pericolosa, rischi di non uscirne mai e di diventare spettatore della tua stessa vita. Fai un po’ tu. Infine, c’è un’altra cosa da considerare: forse tendiamo a procrastinare solo certi compiti particolari (mandare auguri natalizi, tagliare l’erba del prato, aggiungi tu a piacere) semplicemente perché fare queste cose non ci interessa affatto, magari proprio le detestiamo. La soluzione qui è semplice e immediata: smetti di farlo, paga qualcuno perché tagli l’erba al posto tuo, trasformati nel Grinch senza vergogna e ne guadagnerai in salute e felicità. Ora però che hai finito di leggere, vai a lavare quei piatti, su.
SSi fa presto a dire “lavorare nel food”. Quando si pronuncia questa locuzione si è spesso portati a pensare al desiderio di diventare chef, magari coltivando il sogno delle famose stelle. ln realtà, il food è una macrocategoria che include tre settori: la ristorazione (ristoranti, bar), l’hotellerie (alberghi) e la GDO, la grande distribuzione (reparti cibo di super e ipermercati). In tutti però è riscontrabile una carenza di figure professionali. Fanno fronte a questa difficoltà due iniziative in partenza. Parte a fine gennaio la seconda edizione della Belmond Academy (Belmond è l’azienda inglese che opera nel settore turistico e alberghiero a cinque stelle), in collaborazione con l’Istituto dei Mestieri d’Eccellenza LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton, dedicata alla formazione di nuove figure da assumere in un settore trainante della nostra economia. La Belmond Academy prevede un percorso formativo gratuito riservato a 30 giovani diplomati (vedi box). Al termine i partecipanti avranno acquisito competenze specializzate che consentiranno loro di candidarsi nell’hotellerie di alto livello. Ma c’è anche la possibilità di ottenere, in base ai risultati dell’esame conclusivo, un’assunzione stagionale di 6 mesi presso uno degli hotel di Belmond in Italia, dal Cipriani di Venezia allo Splendido di Portofino, dal Caruso di Ravello al Grand Hotel Timeo di Taormina. Una seconda iniziativa riguarda il doppio fronte della ristorazione e dell’hotellerie. Si tratta di un corso post-diploma promosso dall’Istituto Professionale dei Servizi IPSSEC A. Olivetti, istituto statale alberghiero della provincia di Monza e Brianza, in collaborazione con il ristorante Il Moro di Monza, che rientra negli IFTS, percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, che mirano a costruire professionalità in grado di rispondere alle richieste di un mercato del lavoro sempre più innovativo, nel settore dell'agroalimentare e dell’enogastronomia (vedi box). «La formula della teoria unita alla pratica dà la possibilità di acquisire competenze immediatamente spendibili in context all’interno dei ristoranti» conferma Vincenzo Butticé, general manager di Il Moro. Anche il settore della GDO offre possibilità lavorative. Secondo una ricerca del Gruppo Eat Happy (multinazionale nella produzione di sushi e cucina asiatica), fatta in occasione dell’apertura del nuovo centro di Bologna Wakame, brand del gruppo, le professionalità più richieste sono legate sia all’area produttiva sia all’area di magazzino e vanno da figure peculiari, come quella del sushi chef, agli addetti ai vari tagli (dal pesce alle verdure), al confezionamento e al picking (chi raggruppa i prodotti). «Per questi tipi di professionalità, la formazione non può che avvenire sul campo» chiarisce il Ceo Andrea Calistri. «Ma nulla vieta a un sushi chef, una volta formatosi, per esempio, nei corner della GDO, di candidarsi per un posto nella ristorazione classica. Consapevole però che si tratta di un altro tipo di attività, che prevede turni serali, notturni e nel weekend». Ma questa è un’altra storia. Cinzia Cinque