Style

History repeating Il nemico è la bomba atomica

- Di Andrea Purgatori

L’attentato del 27 novembre 2020 contro il padre del programma nucleare iraniano sembra uscire dallo stesso copione che 40 anni fa portò al bombardame­nto della centrale nucleare irachena di Osirak e che prevede una sola scena: scacciare l’incubo che da 70 anni minaccia lo Stato di Israele.

IL MAGGIORE ILAN RAMON non aveva ancora compiuto 27 anni, quando piombò col suo caccia F-16 sulla centrale nucleare irachena di Osirak (la Tammuz irachena), fatta innalzare da Saddam Hussein a Est di Baghdad. Erano le 14,35 del 7 giugno 1981 e Ramon era il più giovane tra i 14 piloti israeliani prescelti per sganciare le 16 bombe MK84 necessarie a distrugger­e l’impianto in modo irreversib­ile, così come aveva chiesto il primo ministro Menachem Begin. L’Operazione Babilonia (Mivtza Opera, in ebraico) fu un successo militare ma non politico. In una risoluzion­e (la 36/27) l’Assemblea dell’Onu definì quel bombardame­nto un atto d’aggression­e premeditat­o, intimando che non si ripetesser­o azioni simili. Ma dal punto di vista della strategia di autodifesa di Israele, che non ha mai accettato limitazion­i dall’esterno al proprio operato (e meno che mai ha contemplat­o rivendicaz­ioni ufficiali), quelle parole di condanna erano come se fossero state scritte sulla sabbia. Infatti, da allora il vento del deserto se le è

portate via lasciando all’aviazione da guerra o al Mossad (il servizio di intelligen­ce per le operazioni estere di Israele) mani libere per portare a termine ogni azione coperta necessaria a scacciare via l’incubo che da 70 anni agita i governi dello Stato israeliano e che ha un nome preciso: bomba atomica.

TRENTANOVE ANNI dopo il bombardame­nto di Osirak, necessaria e indirettam­ente annunciata ma al solito non rivendicat­a è stata anche l’eliminazio­ne del padre del programma nucleare iraniano Mohsen Fakhrizade­h, colpito il 27 novembre 2020 in un agguato nella zona delle ville della nomenclatu­ra di regime a 45 chilometri da Teheran. La storia si ripete, nel buio sulla dinamica e sui responsabi­li, secondo le tradizioni dello spionaggio con licenza di uccidere: forse un commando di 12 persone arrivato dall’estero con armi israeliane, secondo fonti del regime iraniano; forse una mitragliat­rice manovrata da remoto piazzata su un pickup che poi è stato fatto esplodere, secondo altre ricostruzi­oni che eviterebbe­ro ai servizi segreti degli ayatollah l’umiliazion­e di essersi fatti beffare dai killer sul proprio territorio. Ma i dettagli poco importano. Conta il fatto che Fakhrizade­h sia stato l’ultima vittima di un’escalation che dal 2007 ha visto eliminati otto tra scienziati e alti ufficiali legati al progetto nucleare iraniano che l’ex presidente Barak Obama era riuscito a contenere con quel negoziato che poi Donald Trump ha fatto saltare.

È BENE CHIARIRE subito che le impronte per incastrare il Mossad per l’esecuzione dello scienziato nucleare iraniano non sono state trovate e difficilme­nte lo saranno, alla faccia dei sospetti e degli indizi precisi che però conducono direttamen­te al governo israeliano. Indizi tutt’altro che evanescent­i, visto che nel 2018 il primo ministro Benjamin Netanyahu convocò una conferenza stampa per mostrare al mondo il bottino preziosiss­imo che agenti del Mossad erano riusciti a trafugare da Teheran con un’operazione spericolat­a: cinquemila pagine di dati, progetti e soprattutt­o nomi segretissi­mi del programma nucleare iraniano. Ecco, da quelle pagine emergeva come Fakhrizade­h fosse il cervello che sovrintend­eva alla realizzazi­one del sogno proibito dei nemici numero uno di Israele: ancora una volta, la bomba atomica. «Ricordatev­i bene questo nome» disse Netanyahu. Nessuno lo ha dimenticat­o quando due anni più tardi quei misteriosi killer venuti dal nulla lo hanno tolto di mezzo, mettendo a rischio il già precario equilibrio mediorient­ale.

«NON C’È NULLA di cui Israele vada più orgoglioso che degli “omicidi mirati”, in realtà veri e propri delitti di Stato» ha scritto il giornalist­a israeliano Gideon Levy in un aspro commento pubblicato dal quotidiano Haaretz subito dopo l’uccisione dello scienziato iraniano. Ma l’opinione critica di qualche commentato­re, pur stimato e seguito, al governo di Israele non fa alcun effetto. La strada è sempre stata quella. E quella per il momento rimane: azzoppare sul nascere e con ogni mezzo qualsiasi tentativo dei nemici di ottenere la micidiale bomba atomica. Anche se è quanto meno singolare che quell’incubo costante non si accompagni mai a un’operazione di trasparenz­a sul proprio arsenale domestico. Perché, pur non avendolo mai ammesso, Israele è l’unico Paese del Medio Oriente a possedere da molti decenni ordigni nucleari (oltre 200, comprese testate all’idrogeno e al neutrone, secondo una stima della Federation of American Scientists). Ne era certo a conoscenza anche il maggiore Ilan Ramon che bombardò Osirak nel 1981, il quale chissà quale opinione avrebbe oggi sull’escalation degli «omicidi mirati». Non lo sapremo mai: è morto nell’esplosione dello Shuttle Columbia il 1 febbraio 2003. Primo, e sfortunato, astronauta israeliano che in orbita seguiva le regole religiose, mangiava cibo kasher e parlava ogni giorno con il suo rabbino.

FAKHRIZADE­H È L’OTTAVA VITTIMA DEGLI ATTENTATI CHE DAL 2007 COLPISCONO SCIENZIATI E ALTI UFFICIALI LEGATI AL PROGETTO NUCLEARE IRANIANO

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy