History repeating Il nemico è la bomba atomica
L’attentato del 27 novembre 2020 contro il padre del programma nucleare iraniano sembra uscire dallo stesso copione che 40 anni fa portò al bombardamento della centrale nucleare irachena di Osirak e che prevede una sola scena: scacciare l’incubo che da 70 anni minaccia lo Stato di Israele.
IL MAGGIORE ILAN RAMON non aveva ancora compiuto 27 anni, quando piombò col suo caccia F-16 sulla centrale nucleare irachena di Osirak (la Tammuz irachena), fatta innalzare da Saddam Hussein a Est di Baghdad. Erano le 14,35 del 7 giugno 1981 e Ramon era il più giovane tra i 14 piloti israeliani prescelti per sganciare le 16 bombe MK84 necessarie a distruggere l’impianto in modo irreversibile, così come aveva chiesto il primo ministro Menachem Begin. L’Operazione Babilonia (Mivtza Opera, in ebraico) fu un successo militare ma non politico. In una risoluzione (la 36/27) l’Assemblea dell’Onu definì quel bombardamento un atto d’aggressione premeditato, intimando che non si ripetessero azioni simili. Ma dal punto di vista della strategia di autodifesa di Israele, che non ha mai accettato limitazioni dall’esterno al proprio operato (e meno che mai ha contemplato rivendicazioni ufficiali), quelle parole di condanna erano come se fossero state scritte sulla sabbia. Infatti, da allora il vento del deserto se le è
portate via lasciando all’aviazione da guerra o al Mossad (il servizio di intelligence per le operazioni estere di Israele) mani libere per portare a termine ogni azione coperta necessaria a scacciare via l’incubo che da 70 anni agita i governi dello Stato israeliano e che ha un nome preciso: bomba atomica.
TRENTANOVE ANNI dopo il bombardamento di Osirak, necessaria e indirettamente annunciata ma al solito non rivendicata è stata anche l’eliminazione del padre del programma nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh, colpito il 27 novembre 2020 in un agguato nella zona delle ville della nomenclatura di regime a 45 chilometri da Teheran. La storia si ripete, nel buio sulla dinamica e sui responsabili, secondo le tradizioni dello spionaggio con licenza di uccidere: forse un commando di 12 persone arrivato dall’estero con armi israeliane, secondo fonti del regime iraniano; forse una mitragliatrice manovrata da remoto piazzata su un pickup che poi è stato fatto esplodere, secondo altre ricostruzioni che eviterebbero ai servizi segreti degli ayatollah l’umiliazione di essersi fatti beffare dai killer sul proprio territorio. Ma i dettagli poco importano. Conta il fatto che Fakhrizadeh sia stato l’ultima vittima di un’escalation che dal 2007 ha visto eliminati otto tra scienziati e alti ufficiali legati al progetto nucleare iraniano che l’ex presidente Barak Obama era riuscito a contenere con quel negoziato che poi Donald Trump ha fatto saltare.
È BENE CHIARIRE subito che le impronte per incastrare il Mossad per l’esecuzione dello scienziato nucleare iraniano non sono state trovate e difficilmente lo saranno, alla faccia dei sospetti e degli indizi precisi che però conducono direttamente al governo israeliano. Indizi tutt’altro che evanescenti, visto che nel 2018 il primo ministro Benjamin Netanyahu convocò una conferenza stampa per mostrare al mondo il bottino preziosissimo che agenti del Mossad erano riusciti a trafugare da Teheran con un’operazione spericolata: cinquemila pagine di dati, progetti e soprattutto nomi segretissimi del programma nucleare iraniano. Ecco, da quelle pagine emergeva come Fakhrizadeh fosse il cervello che sovrintendeva alla realizzazione del sogno proibito dei nemici numero uno di Israele: ancora una volta, la bomba atomica. «Ricordatevi bene questo nome» disse Netanyahu. Nessuno lo ha dimenticato quando due anni più tardi quei misteriosi killer venuti dal nulla lo hanno tolto di mezzo, mettendo a rischio il già precario equilibrio mediorientale.
«NON C’È NULLA di cui Israele vada più orgoglioso che degli “omicidi mirati”, in realtà veri e propri delitti di Stato» ha scritto il giornalista israeliano Gideon Levy in un aspro commento pubblicato dal quotidiano Haaretz subito dopo l’uccisione dello scienziato iraniano. Ma l’opinione critica di qualche commentatore, pur stimato e seguito, al governo di Israele non fa alcun effetto. La strada è sempre stata quella. E quella per il momento rimane: azzoppare sul nascere e con ogni mezzo qualsiasi tentativo dei nemici di ottenere la micidiale bomba atomica. Anche se è quanto meno singolare che quell’incubo costante non si accompagni mai a un’operazione di trasparenza sul proprio arsenale domestico. Perché, pur non avendolo mai ammesso, Israele è l’unico Paese del Medio Oriente a possedere da molti decenni ordigni nucleari (oltre 200, comprese testate all’idrogeno e al neutrone, secondo una stima della Federation of American Scientists). Ne era certo a conoscenza anche il maggiore Ilan Ramon che bombardò Osirak nel 1981, il quale chissà quale opinione avrebbe oggi sull’escalation degli «omicidi mirati». Non lo sapremo mai: è morto nell’esplosione dello Shuttle Columbia il 1 febbraio 2003. Primo, e sfortunato, astronauta israeliano che in orbita seguiva le regole religiose, mangiava cibo kasher e parlava ogni giorno con il suo rabbino.
FAKHRIZADEH È L’OTTAVA VITTIMA DEGLI ATTENTATI CHE DAL 2007 COLPISCONO SCIENZIATI E ALTI UFFICIALI LEGATI AL PROGETTO NUCLEARE IRANIANO