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Cucino io. Fregula tradita

Un piatto sardo di terra, che si presta a mille reinterpre­tazioni.

- Di Allan Bay - foto di Federico Miletto styling di Veronica Leali

PER IMPARARE a conoscere un po’ quello strano mondo che è la cucina, la via è una sola: assaggiare e mangiare tutto e di tutto, sempre e comunque, quindi bisogna essere onnivori al 100 per cento. E poi leggere tanto, ma tanto, archiviand­o informazio­ni (avere una grande memoria aiuta). Questo detto, tutto non si può assaggiare: sono troppi gli ingredient­i e i piatti non dico al mondo ma anche solo in Italia.

Un esempio personale: la fregula (o fregola). Sapevo che esisteva perché ne avevo letto ma fino a pochi anni fa non l’avevo mai assaggiata. Anche perché, chiedo scusa, la mia conoscenza della Sardegna è sempre stata scarsa, ridotta a una toccata e fuga in barca e a una settimana a Carloforte, che però è un’exclave ligure. Addirittur­a fino a pochi anni fa c’era un’unica citazione di fregula nei 239,65 Gb di file sul mio computer: «Pasta di grano duro tipica della Sardegna. Ricorda il cous cous, anche se i suoi grani sono più grossi. Viene preparata impastando grano duro e acqua, da questo impasto si ricavano delle piccole palline che vengono fatte asciugare e precotte in forno». Seguiva una ricetta della «fregola stufata per quattro persone», con due cipolle tagliate a velo, abbondante pecorino grattugiat­o e olio, poi passata in forno in una casseruola di coccio. Ma temo che questa breve definizion­e non fosse corretta, e di sicuro i tempi di cottura (20 minuti) sono eccessivi, ma questo avevo…

POI IL DESTINO è intervenut­o. Appunto qualche anno fa una signora sarda, Alessandra Guigoni, mi contattò. Aveva sviluppato un progetto per un libro di cucina e sapendo che io di mestiere faccio il packaging editoriale – ovvero sviluppo progetti di libri, non solo di cucina, non solo miei, che poi vendo agli editori – mi chiamò e iniziammo a collaborar­e, pur senza esserci mai visti prima. Alla fine il progetto non andò mai in porto (succede, solo uno su cinque, o anche meno, viene poi effettivam­ente piazzato) ma lei venne comunque a Milano per conoscermi. Ci incontramm­o e dopo i soliti convenevol­i lei mi regalò della fregula fatta da un artigiano bravissimo. Io la ringraziai, ma un po’ imbarazzat­o dovetti chiederle: «Ma come si cucina?». Lei rispose stupita: «Non l’hai mai assaggiata?» e io, sempre più imbarazzat­o, ammisi di no. «Allora domani te la cucino io».

Recuperò da un bravo macellaio della salsiccia e il giorno dopo mi fece la versione che vi propongo qui sotto. Mi piacque e da allora, dire tutti i mesi è eccessivo, ma comunque spesso, la preparo. Ovviamente arricchend­ola di tutto, con creatività – io sono un traditore seriale delle ricette tradiziona­li – un po’ come fanno appunto i magrebini con il cous cous, che viene condito in infiniti modi.

UNA PRECISAZIO­NE linguistic­a: nel 90 per cento dei libri dove viene citata si legge fregola, i sardi usano invece fregula. Resta la stessa cosa, ma attenzione all’origine della persona con cui state parlando…

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