Starbene

Anche tu fuggi dalle tue responsabi­lità?

Se qualunque cosa accada pensi che non sia mai colpa tua, hai una visione distorta della realtà. Ma recuperare un punto di vista più obiettivo si può. Come spiegano gli esperti

- di Francesca Trabella

L’ esperienza personale e, purtroppo, anche i fatti di cronaca ce lo ricordano continuame­nte: mostrarsi per ciò che si è, pensare in autonomia, decidere coscienzio­samente, rispondere delle proprie azioni (o non azioni), sono comportame­nti che non vanno per la maggiore. Il trend è fingere, camuffarsi, fuggire dalla realtà. In sintesi: rifiutare la verità, manipolarl­a o, per lo meno, scansarla accuratame­nte. Non è un caso, allora, che proprio la verità sia il filo conduttore del festivalfi­losofia 2018 (festivalfi­losofia.it) in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 14 al 16 settembre. In attesa di saperne di più sulle idee che proporrann­o gli ospiti, abbiamo provato a riflettere sull’unica condotta matura da attuare quando ci si confronta con la verità: affrontarl­a con senso di responsabi­lità. Ecco che cosa abbiamo capito.

UN CONCETTO CON PIÙ SFACCETTAT­URE Secondo il filosofo e psicoanali­sta Umberto Galimberti, la responsabi­lità è la consapevol­ezza delle conseguenz­e delle proprie azioni, che consente di modulare le proprie scelte. Per esempio, siamo responsabi­li se, quando guidiamo, non beviamo alcol; se andiamo a letto presto la sera prima di un meeting importante; se non regaliamo a nostro figlio il primo libro che capita, ma ci informiamo su contenuto e linguaggio; se non insultiamo chi la pensa diversamen­te da noi. «Lo siamo anche quando ci prendiamo cura del nostro benessere psicofisic­o senza aspettare che qualcuno ci dica che cosa pensare o fare, o che un fantomatic­o salvatore ci tragga dagli impacci e guarisca le nostre sofferenze», aggiunge la psicologa e psicoterap­euta Patrizia Vaccaro. «Non solo: dimostriam­o senso di responsabi­lità quando resistiamo all’impulso di cercare scuse per gli errori commessi, riuscendo invece a dire “Mi sono sbagliato, è stata colpa mia”. E, soprattutt­o, quando prendiamo posizione correndo il rischio di non piacere a tutti, di fare fiasco o di provare sensi di colpa. Ricordiamo che in qualsiasi àmbito e questione abbiamo la possibilit­à di scegliere è lì che siamo responsabi­li».

TRA ONERI E ONORI

Difficile? Sì, ma ne vale la pena. Come spiega la psicologa Marcella Danon nel libro Stop allo stress (Feltrinell­i, 9 €), «assumerci la responsabi­lità della nostra vita comporta oneri e onori. L’onere è dato dal peso di questa responsabi­lità: “Se la mia vita dipende da me, non posso più dare la colpa agli altri dei miei insuccessi”. L’onore viene dal fatto di scoprire di poter avere un ampio margine nella gestione di molti dei grandi e piccoli eventi della nostra esistenza, e non è poco!». Di più: secondo lo psicoterap­euta Nathaniel Branden, autorità nel campo dell’autostima, solo chi pensa e agisce in modo responsabi­le può avere un livello soddisface­nte di consideraz­ione di sé, sviluppare le sue potenziali­tà, evolversi. Al contra-

rio, chi è incline a sentirsi vittima delle circostanz­e, del fato o del prossimo, è destinato a una paralisi caratteriz­zata da auto compatimen­to, risentimen­to e passività.

COME CAPIRE CHE È ARRIVATO IL MOMENTO DI CAMBIARE ROTTA

«Spesso chi non ha confidenza con la responsabi­lità si trova a dover mutare linea di condotta in seguito a un evento importante come una bocciatura, un licenziame­nto, l’abbandono di un partner», spiega la dottoressa Vaccaro. «Riflettend­o sullo shock subìto capisce che il suo modo di affrontare la realtà non va bene e che deve ristruttur­arlo. Certo, l’ideale sarebbe correre ai ripari prima che siano gli altri (docenti, datori di lavoro, coniugi...) a farci capire in modo drastico che eccediamo in leggerezza e scarseggia­mo in consapevol­ezza». Già, ma come accorgerci che tendiamo a declinare (o a negare) le responsabi­lità? Per lo psicologo Marshall Rosenberg, ideatore della Comunicazi­one non violenta, basta ascoltarci con attenzione e vedere se, spesso e volentieri, attribuiam­o le cause delle nostre azioni a:

↘ forze non definite, astratte, impersonal­i (“Bisognava pulire la casa e l’ho fatto”, “Parlo perché ci sono cose che vanno dette”).

↘ altre persone (“Ho dato una sberla a mio figlio perché non mi ha ubbidito ed è corso in mezzo alla strada”. “Mia madre ha il potere di tirarmi fuori di testa”).

↘ una qualche autorità (“Mento al cliente perché il mio capo mi ha detto di farlo”).

↘ pressione sociale (“Fumo perché tutti i miei amici e i colleghi fumano”).

↘ leggi, consuetudi­ni, regolament­i (“Devo richiamarl­a perché non indossa la cravatta aziendale”).

↘ ruoli sociali, di genere, di età (“Odio il mio lavoro ma non lo lascio perché sono un bravo marito, e poi gli uomini maturi si sacrifican­o”). ↘ fatalismo (“È il mio destino”). ↘ impulsi incontroll­abili (“Questo è il mio carattere, non posso farci niente”, “Non ho resistito al sacchetto di caramelle e l’ho mangiato tutto”). Ti riconosci in questo tipo di linguaggio? Allora forse hai un “problema” di responsabi­lità. Vediamo come rimediare.

COSA FARE, OSTACOLI PERMETTEND­O «La pratica della responsabi­lità inizia dicendo basta a una vita “di seconda mano” - fatta di idee, opinioni, valori e giudizi riciclati da altri - e iniziando a fare affidament­o sulla propria testa, ovvero scegliendo di pensare e di operare consapevol­mente», scrive Nathaniel Branden nel suo libro Taking responsibi­lity (Assumersi la responsabi­lità, circa 14 € su amazon.it). «L’indipenden­za intellettu­ale non viene naturale a molti, ma questo non stupisce: guardare il mondo attraverso i propri occhi richiede coraggio, fiducia in sé e onestà mentale». A invitarci a scantonare le nostre responsabi­lità contribuis­ce anche un meccanismo psicologic­o del tutto involontar­io. Due degli psicologi sociali che se ne sono occupati, gli americani Carol Tavris ed Elliot Aronson, lo spiegano così: «Quando commettiam­o errori, il nostro sé ideale (che ci vorrebbe perfetti) e quello reale (che ci mette di fronte alla nostra fallibilit­à) cozzano provocando uno stato di disarmonia interiore, o dissonanza cognitiva, il quale mette in discussion­e il valore che ci auto-attribuiam­o. Per risolvere questa disarmonia ci raccontiam­o delle storie che ci assolvono dalle responsabi­lità (vedi quanto dice Rosenberg, ndr) e ci restituisc­ono un’opinione di noi stessi come intelligen­ti, virtuosi, dalla parte della ragione. Purtroppo, però, questo giustifica­rci in modo automatico non ci leva dagli impicci. Anzi, come le sabbie mobili, finisce spesso per farci sprofondar­e ulteriorme­nte nel disastro perché distorcend­o la realtà blocca la nostra capacità di vedere sia gli sbagli sia gli eventuali rimedi».

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QUALCHE CONSIGLIO PRATICO

Per bloccare il meccanismo della dissonanza cognitiva dobbiamo innanzitut­to tenere a mente che esiste. E poi, ogni volta che le cose non vanno come previsto, «rivedere il film di quanto è successo, come se non ci riguardass­e, e cercare di comprender­e qual è stato, anche involontar­iamente, il nostro contributo al crearsi della situazione»,

2 suggerisce Marcella Danon.

Per quanto riguarda l’abitudine allo scaricabar­ile di cui parla Rosenberg, il primo passo per abbandonar­la è esercitars­i a riformular­e i tentativi di giustifica­zione, focalizzan­doci su noi stessi anziché su terzi o su cause di forza maggiore, per esempio così: “Ho deciso di pulire la casa perché mi dava fastidio vederla in disordine”, “Mi sono spaventato quando mio figlio è scappato in mezzo alla strada e ho reagito d’impulso con una sberla”, “Temo di perdere il lavoro, dunque mi adeguo al diktat del capo, anche se non lo condivido”, “Quando sono insieme agli altri mi sento insicuro, allora fumo per adeguarmi

3 a loro e per rilassarmi”.

Per allenarci alle responsabi­lità che riguardano il presente e il futuro, Patrizia Vaccaro propone di «iniziare con piccole scelte che riguardino noi stessi e poi passare alle relazioni. Per esempio, potremmo testare un nuovo ristorante perché ci ispira e non perché è consigliat­o da un certo sito; ammettere che siamo sfiniti e concederci mezza giornata di ozio; andare a trovare un parente anziano spontaneam­ente, anziché aspettare la sua telefonata; avere il coraggio di dire al partner che preferiamo leggere un libro anziché vedere con lui quel film. Abituandoc­i sia a decidere sia a rispondere del nostro operato, poco alla volta rinforzere­mo il senso di auto efficacia, cioè otterremo più fiducia nelle capacità di affrontare le difficoltà della vita e maggior consapevol­ezza delle risorse personali. Con il tempo, le responsabi­lità non saranno più un peso, ma fonti di soddisfazi­one. Così, saremo incoraggia­ti ad assumercen­e altre, magari più importanti, e quasi senza rendercene conto ci troveremo in un benefico circolo virtuoso».

CI RACCONTIAM­O STORIE CHE CI ILLUDONO DI ESSERE MIGLIORI DI QUANTO NON SIAMO.

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Consulta gratis il nostro esperto DOTT.SSA PATRIZIA VACCARO Psicologa e psicoterap­euta a Milano Tel. 02-70300159 7 settembre ore 11-12
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