Anche tu fuggi dalle tue responsabilità?
Se qualunque cosa accada pensi che non sia mai colpa tua, hai una visione distorta della realtà. Ma recuperare un punto di vista più obiettivo si può. Come spiegano gli esperti
L’ esperienza personale e, purtroppo, anche i fatti di cronaca ce lo ricordano continuamente: mostrarsi per ciò che si è, pensare in autonomia, decidere coscienziosamente, rispondere delle proprie azioni (o non azioni), sono comportamenti che non vanno per la maggiore. Il trend è fingere, camuffarsi, fuggire dalla realtà. In sintesi: rifiutare la verità, manipolarla o, per lo meno, scansarla accuratamente. Non è un caso, allora, che proprio la verità sia il filo conduttore del festivalfilosofia 2018 (festivalfilosofia.it) in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 14 al 16 settembre. In attesa di saperne di più sulle idee che proporranno gli ospiti, abbiamo provato a riflettere sull’unica condotta matura da attuare quando ci si confronta con la verità: affrontarla con senso di responsabilità. Ecco che cosa abbiamo capito.
UN CONCETTO CON PIÙ SFACCETTATURE Secondo il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, la responsabilità è la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, che consente di modulare le proprie scelte. Per esempio, siamo responsabili se, quando guidiamo, non beviamo alcol; se andiamo a letto presto la sera prima di un meeting importante; se non regaliamo a nostro figlio il primo libro che capita, ma ci informiamo su contenuto e linguaggio; se non insultiamo chi la pensa diversamente da noi. «Lo siamo anche quando ci prendiamo cura del nostro benessere psicofisico senza aspettare che qualcuno ci dica che cosa pensare o fare, o che un fantomatico salvatore ci tragga dagli impacci e guarisca le nostre sofferenze», aggiunge la psicologa e psicoterapeuta Patrizia Vaccaro. «Non solo: dimostriamo senso di responsabilità quando resistiamo all’impulso di cercare scuse per gli errori commessi, riuscendo invece a dire “Mi sono sbagliato, è stata colpa mia”. E, soprattutto, quando prendiamo posizione correndo il rischio di non piacere a tutti, di fare fiasco o di provare sensi di colpa. Ricordiamo che in qualsiasi àmbito e questione abbiamo la possibilità di scegliere è lì che siamo responsabili».
TRA ONERI E ONORI
Difficile? Sì, ma ne vale la pena. Come spiega la psicologa Marcella Danon nel libro Stop allo stress (Feltrinelli, 9 €), «assumerci la responsabilità della nostra vita comporta oneri e onori. L’onere è dato dal peso di questa responsabilità: “Se la mia vita dipende da me, non posso più dare la colpa agli altri dei miei insuccessi”. L’onore viene dal fatto di scoprire di poter avere un ampio margine nella gestione di molti dei grandi e piccoli eventi della nostra esistenza, e non è poco!». Di più: secondo lo psicoterapeuta Nathaniel Branden, autorità nel campo dell’autostima, solo chi pensa e agisce in modo responsabile può avere un livello soddisfacente di considerazione di sé, sviluppare le sue potenzialità, evolversi. Al contra-
rio, chi è incline a sentirsi vittima delle circostanze, del fato o del prossimo, è destinato a una paralisi caratterizzata da auto compatimento, risentimento e passività.
COME CAPIRE CHE È ARRIVATO IL MOMENTO DI CAMBIARE ROTTA
«Spesso chi non ha confidenza con la responsabilità si trova a dover mutare linea di condotta in seguito a un evento importante come una bocciatura, un licenziamento, l’abbandono di un partner», spiega la dottoressa Vaccaro. «Riflettendo sullo shock subìto capisce che il suo modo di affrontare la realtà non va bene e che deve ristrutturarlo. Certo, l’ideale sarebbe correre ai ripari prima che siano gli altri (docenti, datori di lavoro, coniugi...) a farci capire in modo drastico che eccediamo in leggerezza e scarseggiamo in consapevolezza». Già, ma come accorgerci che tendiamo a declinare (o a negare) le responsabilità? Per lo psicologo Marshall Rosenberg, ideatore della Comunicazione non violenta, basta ascoltarci con attenzione e vedere se, spesso e volentieri, attribuiamo le cause delle nostre azioni a:
↘ forze non definite, astratte, impersonali (“Bisognava pulire la casa e l’ho fatto”, “Parlo perché ci sono cose che vanno dette”).
↘ altre persone (“Ho dato una sberla a mio figlio perché non mi ha ubbidito ed è corso in mezzo alla strada”. “Mia madre ha il potere di tirarmi fuori di testa”).
↘ una qualche autorità (“Mento al cliente perché il mio capo mi ha detto di farlo”).
↘ pressione sociale (“Fumo perché tutti i miei amici e i colleghi fumano”).
↘ leggi, consuetudini, regolamenti (“Devo richiamarla perché non indossa la cravatta aziendale”).
↘ ruoli sociali, di genere, di età (“Odio il mio lavoro ma non lo lascio perché sono un bravo marito, e poi gli uomini maturi si sacrificano”). ↘ fatalismo (“È il mio destino”). ↘ impulsi incontrollabili (“Questo è il mio carattere, non posso farci niente”, “Non ho resistito al sacchetto di caramelle e l’ho mangiato tutto”). Ti riconosci in questo tipo di linguaggio? Allora forse hai un “problema” di responsabilità. Vediamo come rimediare.
COSA FARE, OSTACOLI PERMETTENDO «La pratica della responsabilità inizia dicendo basta a una vita “di seconda mano” - fatta di idee, opinioni, valori e giudizi riciclati da altri - e iniziando a fare affidamento sulla propria testa, ovvero scegliendo di pensare e di operare consapevolmente», scrive Nathaniel Branden nel suo libro Taking responsibility (Assumersi la responsabilità, circa 14 € su amazon.it). «L’indipendenza intellettuale non viene naturale a molti, ma questo non stupisce: guardare il mondo attraverso i propri occhi richiede coraggio, fiducia in sé e onestà mentale». A invitarci a scantonare le nostre responsabilità contribuisce anche un meccanismo psicologico del tutto involontario. Due degli psicologi sociali che se ne sono occupati, gli americani Carol Tavris ed Elliot Aronson, lo spiegano così: «Quando commettiamo errori, il nostro sé ideale (che ci vorrebbe perfetti) e quello reale (che ci mette di fronte alla nostra fallibilità) cozzano provocando uno stato di disarmonia interiore, o dissonanza cognitiva, il quale mette in discussione il valore che ci auto-attribuiamo. Per risolvere questa disarmonia ci raccontiamo delle storie che ci assolvono dalle responsabilità (vedi quanto dice Rosenberg, ndr) e ci restituiscono un’opinione di noi stessi come intelligenti, virtuosi, dalla parte della ragione. Purtroppo, però, questo giustificarci in modo automatico non ci leva dagli impicci. Anzi, come le sabbie mobili, finisce spesso per farci sprofondare ulteriormente nel disastro perché distorcendo la realtà blocca la nostra capacità di vedere sia gli sbagli sia gli eventuali rimedi».
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QUALCHE CONSIGLIO PRATICO
Per bloccare il meccanismo della dissonanza cognitiva dobbiamo innanzitutto tenere a mente che esiste. E poi, ogni volta che le cose non vanno come previsto, «rivedere il film di quanto è successo, come se non ci riguardasse, e cercare di comprendere qual è stato, anche involontariamente, il nostro contributo al crearsi della situazione»,
2 suggerisce Marcella Danon.
Per quanto riguarda l’abitudine allo scaricabarile di cui parla Rosenberg, il primo passo per abbandonarla è esercitarsi a riformulare i tentativi di giustificazione, focalizzandoci su noi stessi anziché su terzi o su cause di forza maggiore, per esempio così: “Ho deciso di pulire la casa perché mi dava fastidio vederla in disordine”, “Mi sono spaventato quando mio figlio è scappato in mezzo alla strada e ho reagito d’impulso con una sberla”, “Temo di perdere il lavoro, dunque mi adeguo al diktat del capo, anche se non lo condivido”, “Quando sono insieme agli altri mi sento insicuro, allora fumo per adeguarmi
3 a loro e per rilassarmi”.
Per allenarci alle responsabilità che riguardano il presente e il futuro, Patrizia Vaccaro propone di «iniziare con piccole scelte che riguardino noi stessi e poi passare alle relazioni. Per esempio, potremmo testare un nuovo ristorante perché ci ispira e non perché è consigliato da un certo sito; ammettere che siamo sfiniti e concederci mezza giornata di ozio; andare a trovare un parente anziano spontaneamente, anziché aspettare la sua telefonata; avere il coraggio di dire al partner che preferiamo leggere un libro anziché vedere con lui quel film. Abituandoci sia a decidere sia a rispondere del nostro operato, poco alla volta rinforzeremo il senso di auto efficacia, cioè otterremo più fiducia nelle capacità di affrontare le difficoltà della vita e maggior consapevolezza delle risorse personali. Con il tempo, le responsabilità non saranno più un peso, ma fonti di soddisfazione. Così, saremo incoraggiati ad assumercene altre, magari più importanti, e quasi senza rendercene conto ci troveremo in un benefico circolo virtuoso».
CI RACCONTIAMO STORIE CHE CI ILLUDONO DI ESSERE MIGLIORI DI QUANTO NON SIAMO.