RISO INVECCHIATO
L’espressione potrebbe suonare ambigua, eppure lo chiamano proprio così: riso invecchiato. Perché come il vino, anche il chicco migliora con gli anni. “Lo sapevano in molti, fin dall’antichità, ma nessuno lo faceva prima di me”, dice orogoglioso il coltivatore vercellese Piero Rondolino che già negli Anni ’90 ha creato il primo Carnaroli invecchiato, battezzandolo riso Acquerello. A lui sono seguiti altri marchi piccoli e grandi, tra cui il Riso Gallo che dieci anni dopo, nel 2002, ha messo in produzione il pregiato Gran Riserva, venduto online e nei negozi Eataly. “Si tratta di un Carnaroli seminato a densità ridotta, raccolto e fatto maturare nei silos per un anno”, spiega Marco Devasini, direttore marketing dell’azienda. “Oltre che invecchiato, è privo di imperfezioni perché i chicchi vengono selezionati e calibrati e solo uno su tre diventa Gran Riserva”. Il risultato del processo di invecchiamento è che il riso tiene perfettamente la cottura. “Ideale per gli chef”, assicura Cristina Cavalchini titolare della tenuta novarese La Mondina: “il nostro Riso Buono non scuoce mai, i suoi chicchi restano sempre perfettamente sgranati”. Il merito è dell’amido che, grazie alla lunga attesa, si è fissato nei chicchi e, invece di disperdersi nell’acqua, li lascia consistenti, ricchi di proteine e vitamine. Il sapore poi è ottimo anche al naturale, ma dà il meglio nei risotti, grazie alla maggiore capacità del chicco di assorbire i condimenti. Ben pochi si spingono oltre i 18 mesi di maturazione forse perché il riso, oltre questo tempo, acquisisce un gusto troppo forte, non adatto al nostro palato. Ne è convinta la Cavalchini, che mai andrebbe oltre i 12 mesi di maturazione, mentre Rondolino la pensa in modo opposto: “Con il tempo il riso scurisce ma le qualità migliorano”. Tanto che l’acquerello è anche disponibile invecchiato 7 anni e persino 9, ma solo per il mercato asiatico.