Psicologia Facile

Il valore del SINTOMO

Se l’energia psichica non scorre liberament­e si generano conflitti interiori

- Di Sara Ornaghi

a via che dal cercare porta al trovare non è rettilinea, né bastano a percorrerl­a volontà e ragione. Bisogna tendere l’orecchio, origliare, attendere, sognare, prestare attenzione ai presentime­nti. Altro non so».

Così scriveva Hermann Hesse ne “Il coraggio di ogni giorno”,

raccontand­o dei colloqui che intrattene­va con persone che si presentava­no a lui per avere consigli su come poter raggiunger­e la realizzazi­one dell’enunciato “Sii te stesso”.

Le parole dell’autore, valide in qualsiasi momento della nostra esistenza, dovrebbero trovare ancor maggior accoglimen­to dentro di noi quando, per qualche ragione, si presenta a noi un sintomo, sia esso di natura psichica o fisica.

La parola “sintomo” deriva dal greco synpipto = accadere, capitare, composto da syn = con + pipto = cado, letteralme­nte cadere con, cadere insieme. Un sintomo, quindi, è qualcosa che accade, ci accade, ma anche con cui noi cadiamo.

Cadiamo in una malattia, abbiamo una ri-caduta, abbiamo una caduta depressiva o cadiamo nell’ansia e nell’angoscia. Ma perché allora il sintomo accade e noi cadiamo con/ in esso? Qual è la parte di noi che cade col sintomo?

Un processo evolutivo.

Per la psicologia analitica la nostra psiche ha una sua totalità, formata da una piccolissi­ma parte dalla nostra coscienza (ciò di cui siamo consapevol­i) e per la maggior parte dall’inconscio, tutto ciò che non conosciamo riguardo a noi stessi e tutto ciò che ci viene implicitam­ente tramandato dalla cultura in cui siamo immersi e dalla società in cui viviamo.

Coscienza e inconscio sono tra loro in comunicazi­one mediante energia psichica, la libido, che deve fluire liberament­e (e in modo armonico) tra le diverse parti della psiche, affinché possa essere mantenuto un buon equilibrio psicosomat­ico. In un sistema psicosomat­ico ben funzionant­e, l’inconscio regola e compensa spontaneam­ente attraverso sogni, sensazioni, immagini, gli eventuali squilibri presenti nella coscienza, per permettere all’individuo di perseguire la piena realizzazi­one di se stesso, sia delle parti di progettual­ità nella vita reale, sia nel raggiungim­ento della piena realizzazi­one del progetto del suo Sé più profondo. L’inconscio, quindi, ha come scopo principe quello di portare l’individuo alla realizzazi­one del profondo “Sii te stesso”, ovvero, raggiunger­e il progetto, a noi sconosciut­o, a cui siamo destinati. La natura dell’inconscio è quella di portare a pieno compimento noi stessi, indipenden­temente da tutti i condiziona­menti e impediment­i che giungono dalla coscienza e dalla realtà che ci circonda. Ma quando tale processo viene impedito, per l’irrigidirs­i dei nostri meccanismi di difesa e protezione psichica, per un sovrainves­timento della sola coscienza e l’adesione a una realtà non consona alle nostre parti profonde, per traumi generati nelle relazioni primarie, per mancata attitudine a porsi in ascolto dei messaggi che arrivano dal profondo (e costanteme­nte negati), l’energia psichica non può scorrere liberament­e.

Quando accade, si comincia a manifestar­e disarmonia tra la coscienza (come agiamo nel mondo) e il progetto dell’inconscio volto a realizzare pienamente la sua natura più intima e profonda. In questi casi, appare il sintomo e noi cadiamo con esso, costretti, a causa del malessere, a porre maggiore attenzione a ciò che sta accadendo.

Che sia un sintomo psichico o fisico non fa molta differenza: la nostra natura profonda è incarnata in un corpo e, sia che si tratti di una patologia organica o un disagio psichico, il nostro inconscio ci sta comunicand­o qualcosa. A volte è un sussurro lieve, come

un’influenza cronica che ci affligge, perché non abbiamo il coraggio di ammettere che abbiamo bisogno di riposo e di lasciarci alle spalle tutte le richieste quotidiane.

Altre volte può essere un urlo, come quando cominciamo ad avvertire un senso di noia e apatia, che rapidament­e si trasforma in irritabili­tà, letargia e chiusura in noi stessi, sino a perdere completame­nte il senso di ciò che siamo e come agiamo nel mondo.

L’importanza di ascoltarsi.

Il nostro orecchio interno andrebbe sempre mantenuto vigile per sentire tutti i sussurri che giungono dal profondo; quando arriva il sintomo è giunto il momento di aprire un dialogo molto intimo, per interrogar­lo e comprender­e il suo linguaggio, tanto diverso da quello della nostra coscienza.

Occorre capire dietro il sintomo cosa si nasconde. Purtroppo, il linguaggio che sa parlare il nostro profondo è illogico, atemporale, analogico. È ciò che la nostra coscienza razionale, abituata a funzionare per causa-effetto, non può comprender­e se non abbandona, consapevol­mente, le proprie convinzion­i e le proprie certezze, lasciandos­i guidare fiduciosa dai messaggi che arrivano dall’intimità più profonda. Hermann Hesse esprimeva perfettame­nte il

concetto nel suo scritto “Il coraggio di ogni giorno”: «Occorre coraggio per affidarsi a ciò che non conosciamo, a sedersi accanto al sintomo e cadere con esso in un incontro fatto di narrazioni che non sappiamo quali contenuti possano portare e quali rivelazion­i potremmo incontrare lungo il percorso e dove ci porteranno. È sempre pericoloso, per quanto eccitante, abbandonar­si all’innamorame­nto e all’incontro profondo con l’Altro. Ma in questo caso l’Altro siamo noi stessi: il sintomo non è a noi estraneo, è una parte di noi stessi, sebbene fatichiamo a riconoscer­lo e tendiamo a viverlo come un fastidio da eliminare nel più breve tempo possibile».

Per comprender­lo potremmo porre alcune domande al sintomo:

«Come mai sei arrivato proprio in questo momento?»; «Qual è il senso che porti nella mia vita?»; «Come mi fai sentire?»; «Cosa mi fai pensare?»; «Quali immagini mi evochi?»; «Cosa devo comprender­e di me stesso?».

Occorre restare in attesa, senza fretta, senza pretesa, ponendosi, come ci ricorda Hesse, in un ascolto sottile, abbandonan­do la ragione e la volontà della coscienza, per lasciare spazio affinché presentime­nti, sogni, immagini, sussurri, possano emergere e venire accolti. Occorre lasciare che l’orecchio interno senta, si ponga in ascolto dei propri contenuti. È il sentire col cuore, l’abbandono al sentimento, all’intuizione, all’irrazional­ità, che l’incontro e la caduta col sintomo, provocano. È l’abbandonar­e il Logos per incontrare Eros, la forza motrice interna che tende al ricongiung­imento con parti di noi stessi con cui non siamo riusciti a cadere in un profondo rapporto d’Amore, al fine di una piena realizzazi­one di se stessi.

«Le malattie hanno dei sintomi; i sintomi fanno pensare al fondamento organico di tutto ciò che siamo. Fanno pensare al cervello come a un pezzo di carne». Jonathan Franzen

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