Quando la psichiatria incontra le droghe
La scienza punta sui principi attivi delle sostanze psichedeliche per ottenere antidepressivi più efficaci.
Che le «pillole della felicità» non esistano lo sanno psichiatri e, soprattutto, pazienti.
Non che gli antidepressivi siano un flop, ovviamente. Qualcosa fanno. Ma non sempre, e non per tutti. Nel 30 per cento dei casi non hanno effetto. E quando funzionano, lo fanno dopo settimane. Per questo, la ricerca di antidepressivi più efficaci è sentita come un’urgenza, dal momento che la depressione colpisce 300 milioni di persone al mondo. E da circa 30 anni non viene lanciata sul mercato nessuna nuova molecola (dai tempi del Prozac).
Da qualche tempo industrie farmaceurtiche e centri di ricerca
puntano l’attenzione sui principi attivi contenuti in funghi allucinogeni e stupefacenti come ketamina, Mdma (ectasy), Lsd e persino l’ayahuasca, un mix di erbe psicoattivo dell’Amazzonia. Motivo di tale interesse: queste sostanze sono in grado di sollevare il tono dell’umore in modo molto più rapido e più potente degli antidepressivi. In un ospedale americano vicino all’Università di Yale, per esempio, si sperimenta ketamina (che oggi viene usato come anestetico) in pazienti depressi cui viene iniettata in vena, come prevenzione anti suicidio. Diversamente dagli antidepressivi che lavorano sulla serotonina, la ketamina agisce su un altro recettore, il glutammato; e nei test, si è visto che influisce non solo sulla chimica del cervello ma sulla sua struttura, rafforzando e proteggendo i neuroni. Tanto che la Fda (l’ente americano che controlla farmaci e alimenti) ha deciso di offrire ai trial clinici con la ketamina una corsia più veloce rispetto ad altri esperimenti.
Alla John Hopkins University di Baltimora, uno dei primi centri a testare i principi psichedelici in ambito neurologico, lo psichiatra Matthew W. Jonhson studia la psilocibina dei funghi allucinogeni contro ansia e depressione in pazienti con tumore. A Panorama Johnson (che sarà presente il 15 ottobre a BergamoScienza) spiega: «Gli antidepressivi tradizionali sono strumenti utili, ma tanti pazienti non ne traggono beneficio, e gli effetti collaterali sono pesanti. Noi medici abbiamo disperatamente bisogno di nuovi approcci, e le sostanze psichedeliche sono molto promettenti. Nei nostri test, una singola dose di psilocibina ha fatto diminuire in maniera notevole e duratura, per circa sei mesi, ansia e depressione. E dati analoghi, per quanto riguarda l’ansia, vengono dagli esperimenti con Lsd».
Anche Lauren Slater, psichiatra americana,
lei stessa colpita da depressione bipolare e in cura per anni con il litio, nel saggio
Blue Dreams si dice convinta che «la prossima rivoluzione in psicofarmacologia verrà da questi principi attivi» anche se invita alla cautela, come del resto fa Johnson: «Non sono sostanze per tutti» avverte lo scienziato. «Ad alte dosi possono causare panico e allucinazioni. Chi soffre di psicosi, inoltre, può avere un peggioramento dei sintomi. Nell’uso clinico i pazienti sono seguiti da monitor, controllati durante e dopo il trattamento. Per essere chiaro, sconsiglio fortemente l’uso di allucinogeni come antidepressivi al di fuori dell’ambiente medico e dalle ricerche scientifiche approvate».