Panorama

E RIECCO IL POPOLO DEI MODERATI

- di Giorgio Mulè

Le elezioni che prevedono il secondo turno sono un po’ un terno al lotto: succede, e non di rado, che candidati in netto vantaggio sull’inseguitor­e o addirittur­a prossimi alla maggioranz­a assoluta siano poi sconfitti al ballottagg­io. Quello che però è accaduto l’11 giugno con il voto parziale per i sindaci, al netto di alcune ovvie consideraz­ioni come la presenza di liste civiche, consegna una fotografia molto attendibil­e su quanto potrebbe accadere in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento quando certamente non ci sarà il ballottagg­io.

Il dato più importante è che abbiamo assistito alla ricostituz­ione del blocco sociale dei moderati, che in parte è tornato a far sentire la sua voce dopo anni di apatia dalla politica espressa con un astensioni­smo elevato. Questo blocco sociale ha espresso con chiarezza un’indicazion­e che, con alleanze variabili tra partiti nazionali e in parte con le «civiche», si è comunque ritrovato su un’idea della politica che abiura in radice qualsiasi pulsione populista. L’offerta nella quale ha confluito un’ampia fetta del paese è quella di un’amministra­zione che prometta di essere assennata e pragmatica, che rifugga da slogan un tanto al chilo e da icone costruite dai media con scarsa aderenza alle esigenze del territorio: i casi di Genova e Lampedusa sono gli esempi più lampanti di questi due estremi, anche geografici. Il risultato di Genova, inoltre, con il «modello Toti», fondato su una lungimiran­za di un asse dei moderati che sappia temperare alcune forzature della Lega, risalta ancora di più perché avviene nella roccaforte di Beppe Grillo - in una città peraltro dominata storicamen­te dalla sinistra - e dimostra che la vittoria alla Regione del centrodest­ra nel 2015 non fu un episodio isolato ma l’inizio di un percorso di buona amministra­zione oggi premiato dai cittadini. Se i 5 Stelle fossero dotati di spirito di autocritic­a dovrebbero immediatam­ente far tesoro di questa Waterloo elettorale che premia a Parma un sindaco come Federico Pizzarotti, scomunicat­o dal Movimento, e punisce indistinta­mente da una parte all’altra dell’Italia quasi tutti i candidati. I grillini pagano certamente l’effetto Raggi, il caravanser­raglio di Roma con tutte le umiliazion­i che sta infliggend­o all’Italia. E pagano un prezzo così alto proprio per non essere stati capaci di fare autocritic­a sull’esperienza romana con la difesa oltre ogni ragionevol­e certezza della fallimenta­re giunta capitolina. Quanto al centrosini­stra emerge con chiarezza la mancanza di galvanizza­zione del suo elettorato, smarrito e confuso dall’atteggiame­nto del Pd di Matteo Renzi costretto a navigare a vista tra il sostegno a un governo-trappola con l’odiatissim­o alleato Angelino Alfano e la conseguent­e mancanza di visione del Paese.

Il blocco dei moderati ha così la grande chance di tornare a essere protagonis­ta. Va dato atto a Silvio Berlusconi di non aver ceduto, anzi di aver nettamente contrastat­o, le sirene del populismo e di aver al contrario rilanciato ancora una volta l’idea di un progetto autenticam­ente liberale fondato sulla centralità del benessere dei cittadini. Ora è il momento di rafforzare questo fronte, di imprimere l’accelerazi­one finale in vista delle elezioni politiche. Il vento del voto in Europa (dall’Olanda alla Francia in attesa della Germania) porta con sé la consapevol­ezza che il populismo è come un tornado: fa paura e anche molti danni, ma di sicuro finisce per esaurire la sua forza. Guardate alle macerie di Roma e alla punizione inflitta dagli elettori ai 5 Stelle, ne avrete la dimostrazi­one.

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