Quel piano Marshall che si chiama flat tax
Risanare il sistema bancario, ridurre deficit e debito pubblico, spostare il carico fiscale dal lavoro ai consumi. Questi alcuni «compiti per le vacanze» suggeriti su Panorama dal sociologo Luca Ricolfi per evitare la «tempesta perfetta» in arrivo sull’It
L’Italia è un paese perennemente in campagna elettorale. Qui da noi si va alle urne con la stessa frequenza di quando ci lasciamo tentare dalle ciliegie: una tira l’altra. Così, il mal di pancia è garantito! Dico questo dopo aver letto su Panorama l’intervento del sociologo Luca Ricolfi. Proprio per l’imminenza del voto, con la sfinente bagarre politica, il professore vede il Belpaese ancor più sotto scacco dell’Europa. E prevede l’arrivo della «tempesta perfetta», causata dalla pressione della Bce e dalla complessità di definire, in una fase di assoluta fibrillazione, la manovra 2018. Da una parte le periodiche raccomandazioni di Mario Draghi, dall’altra il continuo valzer delle promesse. Che significa: prendere tempo prendendo in giro. Dunque, il tempo è perennemente brutto. Non più adesso di qualche mese fa.
Francamente, non scorgo soluzioni possibili focalizzandosi su singoli capitoli, sui «compiti delle vacanze» come sintetizza Ricolfi riprendendo le raccomandazioni di Francoforte. Nella quasi totalità condivisibili, tranne quella di spostare il carico fiscale dal lavoro ai consumi. Non si tratta di spostare il carico da una parte all’altra, per la semplice ragione che il peso rimane comunque troppo pesante. Insostenibile. La soluzione non può mai essere quella di mettere una toppa qui e là. Perché il buco si allarga, come sanno bene le nonne. Per avviare le agognate riforme urge una riforma complessiva dello Stato. Un nuovo Piano Marshall d’impronta liberale. Un programma ventennale, di ampio respiro, con interventi drastici che siano finalmente dalla parte di imprese e famiglie. La prima mossa riguarda proprio la materia fiscale. Urge la flat tax. Una percentuale unica e gli esperti della materia ne discutano la percentuale. Ma, certo, non può superare il 20 per cento (e già mi parrebbe eccessivo). Lo Stato recupera credibilità solo se presenta un volto rassicurante.
L’argomento delle tasse è il nervo scoperto per eccellenza. La riforma dello Stato deve partire da qui: alleggerirsi per alleggerire. Una svolta economico-culturale, un cambio di passo. Solo uno Stato a forte vocazione liberale può svolgere per bene i compiti delle vacanze. I commissari alla spending review non potevano farcela. Non perché non fossero capaci, ma perché si sono scontrati con lo Statalismo dirigista.
Dunque, la causa della tempesta in arrivo non è riconducibile all’impasse dettato dal burrascoso clima politico pre-elezioni. La bassa pressione continua è generata da uno Stato di calamità permanente. Senza una sua riforma complessiva, tutti i tentativi hanno l’effetto dei palliativi. Non guariscono. Ci vorrebbe un Luigi Einaudi per chiudere l’ombrello. Per la quiete dopo la tempesta.