Il giallo di Monza Simone Mattarelli si è davvero impiccato?
IL 28ENNE AVEVA FORZATO UN POSTO DI BLOCCO DEI CARABINIERI E SI ERA DATO ALLA FUGA. ERA DISPERATO. «VOGLIAMO SOLO LAVERITÀ» , DICE LA FAMIGLIA
« Non accusiamo nessuno, vogliamo soltanto sapere che cos’è successo». Non sarà facile capire come e perché Simone Mattarelli, un ragazzo di 28 anni che stava progettando con la fidanzata il suo futuro e aveva tutte le ragioni per essere felice, possa essere finito impiccato ai macchinari di un’azienda di Origgio (in provincia di Varese), dopo un inseguimento in auto con quattro pattuglie deiCarabinieri e una fuga a piedi scalzi nei campi fradici di neve e pioggia. Non sarà facile ma Roberta Minotti, legale dei familiari della vittima, vuole assolutamente provarci. Che qualcosa di strano possa essere successo, lo riconoscono anche alla Procura di Busto Arsizio, dove il Pm Susanna Molteni ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. È un procedimento ancora contro ignoti, su cui l’avvocato Minotti vorrebbe veder scritto quanto prima qualche nome e cognome. Intanto lavora. Aspetta i risultati dell’autopsia per sapere se la morte è riconducibile unicamente all’asfissia acuta emersa dal primo referto medico, vuole capire se ci sono lesioni sfuggite a un primo esame e a cosa sono dovute le escoriazioni riscontrate sul volto e su un fianco. Soprattutto, vuole ricostruire minuto per minuto la cronistoria di una notte drammatica dove qualcuno potrebbe aver esagerato.
Il primo a farlo, su questo non ci sono dubbi, è stato sicuramente Simone che all’una e mezza del 4 gennaio, alla guida di una Bmw familiare, “brucia” un posto di blocco deiCarabinieri a Cermenate. Perché lo abbia fatto f rimane un mistero.
LA L CHIAMATA AL PADRE
Se si fosse fermato, avrebbe rischiato una sanzione per aver violato il coprif fuoco da Covid. E se per caso avesse avuto in corpo qualche bicchiere di troppo, avrebbe rischiato di ricadere, come c quattro anni fa, nella sospensione della patente. In ogni caso, poca roba, nulla, rispetto a quello che è successo. Nell’inseguimento che si è scatenato sulle strade della Brianza, Simone però non sarebbe stato l’unico a esagerare. Sovrastimando la pericolosità del soggetto in fuga, forse anche i Carabinieri potrebbero aver avuto una reazione eccessiva. Una notte gelida, resa ancor più spettrale dalle norme da zona rossa, improvvisamente è stata illuminata dai lampeggianti blu, il silenzio è stato rotto dalle sirene e soprattutto dai botti delle armi da fuoco. Colpi su colpi, che a scopo intimidatorio avrebbero dovuto essere sparati in aria, e che a quanto pare sarebbero
stati sparati anche a terra, rischiando di centrare, se pur di rimbalzo, l’auto in fuga.
Matteo Mattarelli, due anni più giovane di Simone, parla con un groppo in gola di un fratello che era anche un amico e un compagno di avventure: «Simone sapeva guidare», racconta, «ma non so come ha fatto a reggere un inseguimento di più pattuglie per oltre un’ora. Era consapevole di aver fatto un errore. Ha chiamato mio padre per dirgli tutto e avvisarlo che sarebbe andato da lui. Mio padre gli ha detto di fermarsi. “Non posso”, gli ha risposto, “li ho fatti troppo incazzare, semi prendono mi ammazzano”. Mio padre ha sentito i colpi di pistola. Non uno, ma tanti. E se ho capito bene, anche quando Simone ha abbandonato l’auto sullo sterrato di Origgio ed è scappato nei campi hanno continuato a sparare. Si parla di otto colpi. Perché? Invece di sparare, non potevano inseguirlo a piedi, bloccarlo e portarlo in caserma?».
Dopo un inseguimento di oltre un’ora forse anche i Carabinieri hanno pensato di avere a che fare con un soggetto di alto profilo criminale, pronto a proteggersi la fuga sparando e hanno preferito tenerlo a distanza.
«NON ERA FRAGILE»
In quella fase forse l’unico che aveva le idee chiare e che avrebbe potuto raggiungere Simone era il padre Luca, che aveva ricevuto sul telefonino la posizione del figlio, ed era uscito di casa per cercarlo. Ma quando ormai era nei pressi della fabbrica di Origgio dove si trovava Simone ha incrociato una pattuglia dei Carabinieri e i militari gli hanno detto che avrebbe trovato suo figlio alla stazione di Desio. Ma l’informazione non era corretta. «Simone era all’interno dello stabilimento», riprende Matteo, «e non capisco perché proprio lì, quando ormai si era nascosto e poteva sentirsi al sicuro, possa aver deciso di farla finita. Non erauna persona fragile, che crolla psicologicamente. Era uno in grado di reggere anche situazioni di stress pesante e aveva sempre la lucidità per trovare la soluzione giusta. Non so cosa sia successo, non dico nulla e non accuso nessuno. Ma vorrei un giorno sapere la verità».