EDITORIALE
ANDAVA DI MODA NEGLI ANNI 70. E HA PRODOTTO DANNI CHE PAGHIAMO ANCORA OGGI
Qualche tempo fa lo scrittore e giornalista Nanni Delbecchi ha rievocato, sul Fatto Quotidiano, un suo lontano esame universitario, e ne è seguita una piccola coda polemica con l’editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli Della Loggia. Delbecchi ha raccontato un tipico «esame di gruppo», modalità post-sessantottina che andava di gran moda negli Anni 70. Lui e un paio di suoi amici, dopo aver coinvolto anche tre colleghe (tra le quali c’era chi sfoggiava «una delle sue celebri minigonne»), si presentano al sinistrissimo professore Pio Baldelli con una tesi su Pier Paolo Pasolini, senza sapere sul regista assolutamente nulla. Nessuno dei sei. Per esempio, alla domanda sul filmTeorema, uno per uno si sfilano i primi cinque confessando di non averlo visto. Il cerino resta in mano al buon Nanni, che, disperato, azzarda: « Teorema... è un film... teorematico...». «Giusto!», lo interrompe il prof, «altrimenti non si sarebbe chiamato Teorema ». Al momento di assegnare i voti, Baldelli li lascia decidere agli studenti: «Voi quanto vi dareste?». Non è difficile indovinare la risposta. Finisce con un bel 30 sul libretto per tutti (il massimo: ma la lode, almeno quella, no). «Ci aveva dato una lezione», conclude Delbecchi.
Ovviamente Galli Della Loggia non la lascia passare. Una lezione? «Ma quale, di grazia? Una lezione perfetta di ipocrisia e di conformismo. E naturalmente di asineria». Un aneddoto che indica «più di mille analisi raffinate, perché l’Italia si trova nelle condizioni in cui si trova».
Ora, il raccontino di Delbecchimi hamolto divertito, ma non è facile dare torto a GalliDella Loggia. Non si può addossare tutta la colpa a quello sconclusionato professore, né ai sei furbetti del librettino, ma di certo quegli anni «formidabili» in cui studiare era una barzelletta qualche strascico l’hanno lasciato. Oggi in Italia il livello di analfabetismo funzionale (cioè l’incapacità di usare in modo efficace lettura, scrittura e calcolo) è pari al 30 per cento della popolazione, contro il 15 della media europea.
Mentre quello di «competenze adeguate o elevate» è al 30 per cento contro il 65. Secondo gli ultimi risultati Invalsi, uno studente di Terzamedia su tre non capisce un testo in italiano. Un’altra indagineOcse dice che quanto ad alfabetizzazione i nostri quindicenni sono sotto lamedia di 80 Paesi. Lo dico in un altro modo: in ben 80 Paesi del mondo i quindicenni la sanno più lunga dei nostri pari età.
Anch’io ho fatto l’Università in quelli che Delbecchi definisce «i leggendari Anni 70». Studiavo Filosofia a Bologna, tra il ‘77 e l’81. Fui accolto dai blindati nelle strade, bombeMolotov e lacrimogeni (di questi ultimi ne conservo ancora, religiosamente, un supporto raccolto dopo uno scontro). Misi piede in un’infuocata assemblea studentesca allaFacoltà di Lettere e me andai dopo cinque minuti: avevo “fatto politica” al Liceo ma lì no, non era possibile. E mi rinchiusi in biblioteca a studiare.
Non ho mai dato «esami di gruppo», ma ricordo che tra noi presunti secchioni se ne parlava spesso. Li facevano, in particolare, al mitologico Dams ( Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo), dove il fiore all’occhiello eraUmbertoEcoma di cui si favoleggiava di corsi di mimo nei quali senza colpo ferire si raccattava come minimo il «28 politico». Che voleva dire: la materia è ridicola, non sai una beata mazza ma ti faccio passare, e anche bene, perché tutti hanno diritto alla laurea. Nel mio corso l’andazzo era più contenuto: a parte un paio di professori cattivi come l’aglio, e assai parsimoniosi nei voti, il corpo docente era generalmente malleabile. Se eri preparato abbondavano i 30 e i 30 e lode, se balbettavi comunque non ti negavano la sufficienza. Certo, se facevi scenamuta limettevi in imbarazzo. Per cui bastava parlare. Anche parlare d’altro: ti chiedevano diKant, tu partivi con Hegel e te la cavavi. Ma di uno, o dell’altro, qualcosa dovevi sapere. Se mi avessero chiesto del Teorema di Pasolini magari attaccavo con Fellini: tra La dolce vita e Salò o le 120 giornate di Sodoma non è che ci fosseromolti punti di contatto, ma che importava, qualcosa avrei impapocchiato...