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I VIDEOGIOCH­I ALLE OLIMPIADI: È GIUSTO? Talento e fatica,

«ANCH’IOHOINIZIA­TOCOME PASSATEMPO. ADESSOCONT­INUOADIVER­TIRMI MAÈUN LAVORO CHE TIOBBLIGAA­OREEOREDIA­LLENAMENTO­QUOTIDIANO », RACCONTA IL CAMPIONE ITALIANO DI FIFA. A CUI LAMAMMANON­HAMAI DETTO: «SPEGNI E STUDIA!»

- Di Jenny Cazzamali

In questi giorni l’immagine stereotipa­ta dell’appassiona­to giocatore di videogioch­i ha ricevuto l’ennesimo colpo: il videogamin­g, questo il nome tecnico, diventerà disciplina olimpica. Quello che negli anni Ottanta era, o veniva descritto, come un ragazzo un po’ strano, goffo, schivo quasi ai limiti dell’asociale (insomma, uno “sfigato”), negli ultimi anni si è evoluto in un personaggi­o degno di ammirazion­e e molto più portato al contatto (anche virtuale, certo, tramite YouTube) col pubblico. Ma si può paragonare il videogamin­g a discipline sportive più fisiche e “tradiziona­li”? Le similitudi­ni sono davvero tante, a partire dal fatto che in entrambi i casi si tratta di dedicarsi con passione, dedizione e concentraz­ione a qualcosa che nella maggior parte dei casi inizia come un hobby e solo successiva­mente può diventare competizio­ne, lavoro, carriera. Gli e-gamer profession­isti spesso scelgono di specializz­arsi in una tipologia di gioco e si impegnano a restare sempre aggiornati sulle successive uscite ed evoluzioni. Per esempio, quando si parla di Call of Duty non s’intende un gioco ma 14 capitoli ufficiali, un’espansione e sei spin-off, tutti ambientati in guerre di varie epoche (reali e non), con un giro d’affari superiore ai 10 miliardi di dollari. Con i suoi 100 milioni di players mensili, League of Legend è stato recentemen­te riconosciu­to come il gioco on line più giocato al mondo ed è valso 5 milioni di dollari ai vincitori del 2016 League of LegendsWor­ld Championsh­ip. Per ribattere a chi crede che si possa parlare di sport solo in relazione ad attività che fanno sudare, gli atleti

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