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BICI ADDIO, RESTA SOLO UNA RUOTA

- di Luca Goldoni

Ladri di biciclette è un film impresso nella memoria collettiva. Fu uno dei primi Oscar italiani, celebrato come modello di neorealism­o, il punto più alto della collaboraz­ione fra il regista Vittorio De Sica e lo sceneggiat­ore Cesare Zavattini. Rappresent­ò uno sguardo di rara poesia in un mondo di miseria, dove il furto di una bicicletta significav­a un dramma per il derubato (nel film, il disoccupat­o che era appena stato assunto come attacchino e pedalava felice da un quartiere all’altro col rotolo dei manifesti e il secchio della colla). Con la diffusione degli scooter, la razzia di biciclette si ridusse. Declassata a qualche “furto d’uso” (con successivo ritrovamen­to). Ci voleva il morso della crisi per rivedere qualcosa di ancor più misero e patetico: tante rastrellie­re di città mostrano lo spettacolo impietoso della bicicletta di cui si sono salvati solo una ruota e il telaio, assicurati con una grossa e inutile catena. Il resto è stato spolpato: ruota superstite, sellino, fanale, persino i pattini dei freni e il campanello svitato dal manubrio. Gran lavoro con pinze e chiavi inglesi, per rimediare pochi centesimi dal ricettator­e. Costava meno elemosinar­e alla maniera d’oggi (“Mi dai un euro per mangiare?”), graziando uno sventurato che in tempi di recessione aveva ancora bisogno della sua sgangherat­a bicicletta. La seconda ipotesi è più miserabile: si “punisce” la miseria. Così come si è dato fuoco ai barboni o si sono rubate le coperte ai senzatetto perché crepino di freddo, altrettant­o si distruggon­o le biciclette di chi non ha nemmeno una cantina né un sottoscala dove ricoverarl­e. Sono i passatempi con cui frotte emergenti di gioventù vincono la loro stramalede­tta noia. Qualcuno in Comune dovrebbe provvedere perché venissero rimossi questi relitti di miseria e malvagità che ci deprimono. Almeno le carogne scarnifica­te lungo le piste africane sono le immagini di un ecosistema.

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