BICI ADDIO, RESTA SOLO UNA RUOTA
Ladri di biciclette è un film impresso nella memoria collettiva. Fu uno dei primi Oscar italiani, celebrato come modello di neorealismo, il punto più alto della collaborazione fra il regista Vittorio De Sica e lo sceneggiatore Cesare Zavattini. Rappresentò uno sguardo di rara poesia in un mondo di miseria, dove il furto di una bicicletta significava un dramma per il derubato (nel film, il disoccupato che era appena stato assunto come attacchino e pedalava felice da un quartiere all’altro col rotolo dei manifesti e il secchio della colla). Con la diffusione degli scooter, la razzia di biciclette si ridusse. Declassata a qualche “furto d’uso” (con successivo ritrovamento). Ci voleva il morso della crisi per rivedere qualcosa di ancor più misero e patetico: tante rastrelliere di città mostrano lo spettacolo impietoso della bicicletta di cui si sono salvati solo una ruota e il telaio, assicurati con una grossa e inutile catena. Il resto è stato spolpato: ruota superstite, sellino, fanale, persino i pattini dei freni e il campanello svitato dal manubrio. Gran lavoro con pinze e chiavi inglesi, per rimediare pochi centesimi dal ricettatore. Costava meno elemosinare alla maniera d’oggi (“Mi dai un euro per mangiare?”), graziando uno sventurato che in tempi di recessione aveva ancora bisogno della sua sgangherata bicicletta. La seconda ipotesi è più miserabile: si “punisce” la miseria. Così come si è dato fuoco ai barboni o si sono rubate le coperte ai senzatetto perché crepino di freddo, altrettanto si distruggono le biciclette di chi non ha nemmeno una cantina né un sottoscala dove ricoverarle. Sono i passatempi con cui frotte emergenti di gioventù vincono la loro stramaledetta noia. Qualcuno in Comune dovrebbe provvedere perché venissero rimossi questi relitti di miseria e malvagità che ci deprimono. Almeno le carogne scarnificate lungo le piste africane sono le immagini di un ecosistema.