«Se si scorda di Dio la Chiesa sul sesso fa solo moralismo»
Il teologo, coautore del libro che propone un inedito di Ratzinger: «Definiva mostruosa l’idea di sostituire i termini padre e madre»
■ Livio Melina è teologo moralista e cofondatore del Veritas Amoris Project. È stato ordinario di Teologia morale dal 1996 al 2019 presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, di cui è stato anche preside dal 2006 al 2016. Con José Granados ha curato La verità dell’amore. Tracce per un cammino, in occasione delle udienze concesse all’istituto, in piena continuità col suo predecessore, riteneva centrale il ruolo dell’istituto, sia a Roma che nelle sue diverse sezioni internazionali, ai fini della missione della Chiesa a favore del matrimonio e della famiglia, in riferimento alle sfide sociali e culturali in atto, e alle urgenze pastorali. Egli ha sempre pensato che per rispondere al cuore della crisi si dovesse porre una adeguata antropologia cristiana, delineata nelle Catechesi sulla “Teologia del corpo” di Giovanni Paolo II, e una teologia morale corrispondente alle indicazioni dell’enciclica Veritatis
Altrimenti il riferimento alle norme morali diventava un fastidioso moralismo, suscettibile poi di compromessi ed eccezioni casuistiche. Nel suo Appunto del febbraio 2019, scritto a proposito della crisi degli abusi sessuali del clero, egli afferma che la vera causa che sta all’origine di questo tragico fenomeno, che ha investito la Chiesa cattolica, dev’essere riconosciuta nella dissoluzione della concezione cristiana là delle questioni contingenti, relative agli sviluppi della crisi intorno all’istituto, erano i grandi temi antropologici e teologici dell’attualità ad occupare l’interesse delle conversazioni. Talvolta, soprattutto negli ultimi tempi, il dialogo era un po’ difficile, per i crescenti limiti espressivi del papa (sordità e difficoltà ad articolare il linguaggio), pur sempre confortato da una lucidità intellettuale straordinaria. Capitava anche che mi inviasse degli appunti di riflessioni, alcune dei quali sono state pubblicate poi nel volume postumo: Che cos’è il cristianesimo. Quasi un testamento spirituale.
Livio Melina, con Benedetto XVI. A lato il libro scritto con José Granados. Sotto il nostro articolo sull’inedito di Ratzinger oggi ricorrente anche all’interno del mondo islamico, di proporre un ideale di vita troppo alto, quasi irraggiungibile, in nome di un realismo mediocre, a cui invece ci si sarebbe dovuti adattare per venire incontro all’uomo contemporaneo. Egli sentiva che non si poteva e non si doveva rinunciare alla grandezza della mèta che Dio non solo ci propone, ma che ha reso accessibile a noi mediante l’incarnazione del suo Figlio Gesù. In quel testo ora pubblicato, che è pieno di luce e di personale passione teologica, quasi un testamento e come un passaggio di testimone in una corsa, un tema molto importante è quello della libertà, che va pensata in termini filiali, come “libertà in Cristo” Figlio che ci rende figli, permettendoci di ritrovare l’armonia col Creatore, e dunque con la natura. Anche il nostro corpo va considerato in termini filiali e fraterni, oltre che sponsali e paterni/materni. Allora si può elaborare una vera antropologia relazionale, che permette di superare quell’individualismo solipsistico, che distrugge la dimensione sociale della vita umana e condanna le persone alla solitudine».
Queste indicazioni di Ratzinger in che modo vi hanno ispirato per il vostro lavoro?
«All’interno del volume
Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. È un’eredità che continua ad ispirarci per il futuro e che sentiamo ancora estremamente viva ed attuale, di fronte alle sfide culturali, pastorali e sociali del nostro presente. Il primato del Logos, frutto dell’incontro tra la rivelazione cristiana e la civiltà greca e romana, tra Gerusalemme, Atene e Roma, rimane al cuore della cultura europea, così come Ratzinger ci ha insegnato. Esso non significa chiusura intellettualistica in un passato di tradizioni sterili, ma invito ad uno sviluppo e apertura al futuro, nella linea di un primato dell’amore. Il primato del Logos infatti, come dice
Benedetto XVI è sempre anche primato dell’amore. In tale direzione la nostra iniziativa, cui abbiamo voluto dare il nome di “Veritas amoris project” (www.veritasamoris.org), ha una duplice direzione di sviluppo. Da un lato c’è la dimensione accademica di dialogo e di iniziative con centri universitari a livello internazionale, in Europa (Spagna, Francia, Austria, Polonia, Slovacchia), negli Stati Uniti (Steubenville, Denver), in Messico, Cile, Corea. Mediante congressi, seminari, giornate di studio e pubblicazioni, proseguiamo il lavoro di ricerca, di didattica e di formazione. La seconda direzione è quella più pastorale e formativa, e si rivolge a famiglie e gruppi di bambini e ragazzi, con corsi estivi di master, ed anche con corsi online».
Ratzinger tocca anche il tema, oggi tanto dibattuto, della differenza sessuale. Può chiarire quale fosse il suo pensiero sull’argomento? «Benedetto XVI partiva sempre nelle sue riflessioni dalla Parola di Dio, non dalla sociologia o da altre scienze umane. E nel parlare del tema della differenza sessuale Egli trovava ispirazione dal libro della Genesi, dalla legislazione dell’antico Testamento e soprattutto dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani. Egli riteneva che la differenza sessuale fosse strettamente connessa all’immagine di Dio nell’essere umano. Essa infatti parla di una vocazione alla comunione iscritta nel corpo umano e della missione a trasmettere la vita, in una fecondità generosa e responsabile. La soppressione della differenza rifletteva per lui una pretesa prometeica della libertà di decidere di sé e di auto-progettarsi, negando il primato di Dio Creatore e del suo dono. Una volta disse che si trattava di “un tentativo inaudito e mostruoso di vietare e sostituire le parole originarie e centrali, che stanno al cuore del linguaggio umano: padre, madre, figlio e figlia, sposo e sposa, fratelli e sorelle”. Parole che sono fondamentali per l’identità personale di ciascuno e per la costituzione della socialità umana. Egli era turbato dal silenzio della Chiesa e delle confessioni cristiane su questo tema, intimorite dal prevalere di una censura ideologica. Mi viene alla mente che una volta disse che la Chiesa doveva ricordare agli uomini, come suo compito specifico, il Creatore e il suo progetto originario, e che per difendere l’uomo e la donna dalla manipolazione ideologica e sociale doveva parlare con chiarezza del matrimonio, della famiglia e del significato creaturale della sessualità».
“Per Benedetto XVI era un errore dialogare con la cultura atea annacquando ” gli ideali cristi ani
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