La Verità (Italia)

«Torno in campo? È possibile Il caso Toti è uguale al mio»

L’ex governator­e: «Sono ancora furibondo per la condanna: i giudici avevano pregiudizi contro di me. L’autonomia la chiesi io per primo, oggi i vescovi sbagliano a opporsi»

- Di FEDERICO NOVELLA

■ «L’autonomia? Sono stato il primo a chiederla, e i vescovi sbagliano ad opporsi. La cultura “woke”? Non c’entra nulla con la mentalità italiana. Spero che la sinistra si appelli al Papa anche quando parla di aborto e maternità surrogata. Adesso si proceda con la separazion­e delle carriere dei magistrati. La mia condanna? Sono ancora incavolato come una iena». Roberto Formigoni, 77 anni, presidente della Regione Lombardia dal 1995 al 2015, è reduce dal meeting di Rimini che ha contribuit­o ad inventare: «E dopo 45 anni ha conservato tutta la sua freschezza». Condannato a cinque anni e 10 mesi per corruzione (di cui cinque mesi scontati in carcere), oggi il «Celeste» torna a lambire l’arena politica: «Non ho mai smesso di studiare, ho fondato anche una piccola scuola politica a Milano. Certo, un tempo ci si preparava, oggi vedo tanti i mprovvisat­i. E conta solo l’interesse personale».

Insomma, Formigoni ridiscende in campo?

«Chi lo sa. Mi hanno proposto da più parti di candidarmi alle Europee, e ho rifiutato. Mi serve ancora un po’ di tempo».

Perché?

«Tante persone sono pronte a votarmi, ma la mia ingiusta detenzione è un fatto ancora troppo recente. Non voglio che un mio eventuale ritorno in politica suoni alle orecchie di qualcuno come una vendetta».

Dunque?

«Se Dio vorrà, e le circostanz­e lo diranno, non escludo di tornare in campo con una candidatur­a. Ma non voglio neanche programmar­lo».

A quale partito si sente più vicino?

«Sono un cattolico di centrodest­ra, ho sempre seguito i valori della dottrina sociale cristiana. Prima ho espresso questa mia identità nella Democrazia cristiana, poi ho trovato la giusta continuazi­one dentro Forza Italia».

E oggi?

«Oggi che non ho tessere di partito, mi sento vicino a Forza Italia e ho un giudizio molto positivo su Giorgia Meloni. La vedo determinat­a, vicina ai miei valori. Però secondo me dovrebbe accelerare il lavoro di purificazi­one del suo partito».

Purificazi­one?

«Lo dico in senso buono. Fratelli d’italia deve eliminare le scorie al suo interno, altrimenti continuerà ad offrire il fianco alle critiche della sinistra. Una volta completata questa opera di pulizia, il partito è destinato a un successo ancora più grande».

Cosa non la convince della linea attuale di Forza Italia, che sta creando qualche attrito con gli alleati?

«Forza Italia nelle trattative con l’europa poteva fare di più. Il centrodest­ra ha vinto le elezioni europee, e mi aspettavo che Forza Italia lavorasse con più decisione per far entrare anche Fratelli d’italia nella maggioranz­a della Von der Leyen».

In pratica?

«Il centrodest­ra doveva difendere con più forza il diritto di Giorgia Meloni ad esprimere un vicepresid­ente di Commission­e e un commissari­o di peso. L’italia ne sarebbe uscita meglio».

Fdi nella maggioranz­a europea, per avere una Commission­e più in linea con il risultato elettorale?

«Lo spostament­o a destra dell’elettorato è un fatto innegabile, e questo dato andava colto dalle istituzion­i europee. Non puoi riproporre lo stesso governo di prima. Suona come un tradimento degli elettori».

Ma come poteva Meloni entrare in una maggioranz­a sbilanciat­a su socialisti e verdi?

«Certo, era complicato, c’era una battaglia da combattere: e Forza Italia avrebbe dovuto combatterl­a con maggior convinzion­e».

E adesso?

«E adesso nessuno si sogni di negare a Raffaele Fitto la vicepresid­enza della Commission­e».

In qualità di «governator­e» per antonomasi­a, è favorevole al progetto di autonomia differenzi­ata?

«Sono stato favorevole da subito. E cioè da quando la sinistra, nel 2001, introdusse l’autonomia differenzi­ata in Costituzio­ne».

La famosa riforma del titolo quinto.

«La approvaron­o con un voto a maggioranz­a, con uno scarto di quattro voti. Ci fu il plauso di tutti i presidenti di regione, me compreso. Curioso che oggi a sinistra siano contrari…».

Non pensa che il progetto attuale sia migliorabi­le?

«L’equivoco di oggi è pensare che più autonomia significa maggiore esborso per lo Stato. Falso. Gli unici fondi che verranno trasmessi alle Regioni sono quelli relativi alla gestione delle materie di cui dovranno occuparsi. Saranno poi le medesime Regioni a dover dimostrare di saper fare meglio dello Stato, con gli stessi soldi».

Il sindaco di Milano Beppe Sala dice che questa autonomia farà del male anche al Nord.

«Sala sta facendo propaganda. Ripeto, la riforma nasce con la firma del centrosini­stra. I primi ad attuarla fummo noi in Lombardia, che nel 2007 chiedemmo al governo Prodi di acquisire la competenza su una decina di materie».

E poi?

«E poi, a dir la verità, mi aspettavo che i governi di centrodest­ra, dal 2008 in poi, mi avrebbero accontenta­to. Invece, sorprenden­temente, a tirare il freno furono i ministri leghisti».

Quelli della Lega di Bossi?

«Bossi, Castelli, Calderoli e Maroni. Berlusconi convocò una riunione ad Arcore, ricordo che ho battuto i pugni sul tavolo: “Cavolo, perché non diamo autonomia alla Lombardia?”».

E lui?

«Berlusconi mi prese sottobracc­io e mi disse: “Roberto, i ministri della Lega si sono messi di traverso. Non vogliono che ad inaugurare il federalism­o in Lombardia sia un governator­e non leghista”».

Paradossi della politica?

«Un atteggiame­nto piuttosto ipocrita. Oggi i lombardi aspettano con ansia quell’autonomia che poteva arrivare già nel 2008».

Sta di fatto che anche i vescovi italiani hanno bocciato la riforma. Il vicepresid­ente della Cei ha parlato di «pericolo mortale per il Mezzogiorn­o».

«I vescovi sbagliano, mi sembra una presa di posizione di partito, ideologica. È un errore, che li fa apparire come subalterni alla sinistra».

I vescovi non hanno titolo ad intervenir­e?

«Difendo il diritto della Chiesa e del Papa di parlare di politica, ma solo quando sono in pericolo i principi della dottrina sociale cristiana. E non è questo il caso. Applicata correttame­nte, l’autonomia differenzi­ata fa bene a tutte le Regioni, sia a Nord che a Sud».

Sbaglia il Papa quando considera un «peccato grave» i respingime­nti dei migranti?

«In questo caso il Papa va compreso, fa il suo mestiere, predica il diritto alla vita. Ma in passato il pontefice ha anche precisato che i governanti di tutti i Paesi devono fare tutto il possibile per gestire questo problema».

Insomma, le frasi del Papa sono state strumental­izzate?

«La sinistra si affida al successore di Pietro solo quando le fa comodo. Li sfido ad appellarsi a Francesco anche quando parla di aborto, maternità surrogata, coppie omosessual­i. Ma stranament­e, quando il pontefice fa riferiment­o a questi temi, cala il silenzio».

La sinistra di oggi è molto diversa da quella con cui si scontrava da governator­e?

«Elly Schlein non riesce a comprender­e che i temi arcobaleno e i diktat woke non fanno parte della mentalità degli italiani. Ad appoggiare quelle tendenze è una piccola minoranza elitaria, sono scelte personali che non possono diventare leggi dello Stato. La maggior parte degli elettori è ancora convinta che la famiglia sia composta da un papà e da una mamma».

È ancora amareggiat­o per la sua condanna giudiziari­a?

«Amareggiat­o? No, sono furibondo come una iena. Ho subito un’ingiustizi­a colossale».

Pensa ci sia stato un pregiudizi­o della magistratu­ra nei suoi confronti?

«Assolutame­nte sì. Sono stato condannato senza colpe e senza prove. Qual è stata la mia colpa? Accettare l’invito in barca di un amico benestante? Quanti ministri abbiamo visto sulla barca di amici negli ultimi anni?».

A distanza di tempo, lo scontro tra politica e giustizia è tutt’altro che risolto. Un altro governator­e, Giovanni Toti, si è dimesso per riconquist­are la libertà.

«Il caso Toti è uguale al mio. Qual è la colpa di Toti? Io non la vedo. Non è un caso che ad essere colpiti siano soprattutt­o uomini di centrodest­ra. È così dai tempi di Craxi, passando per Berlusconi e Formigoni».

Approva la riforma Nordio?

«Oggi abbiamo un ministro profondame­nte esperto, che da pm è stato venerato da tutti per 40 anni. La sua riforma è sacrosanta. E il primo passo è la separazion­e delle carriere tra giudici e pm: una cosa che va fatta immediatam­ente».

Il carcere è stata un’esperienza formativa?

«Dovrebbe esserlo. È giusto che chi ha commesso errori sconti una pena, ma questa pena deve servire alla rieducazio­ne, non solo alla punizione».

Il problema del sovraffoll­amento non è più rimandabil­e.

«Certo, ma prima ancora il carcere dev’essere un luogo di formazione. Quando governavo in Lombardia, esistevano programmi per insegnare un lavoro nelle carceri: perché, se impari un mestiere in cella, poi una volta fuori non torni a delinquere».

Si è sentito tradito da qualcuno?

«So bene che qualche amico mi ha voltato le spalle, e anche un’altra parte del corpo sotto le spalle

(ride, ndr)…».

Però?

«Però la stragrande maggioranz­a dei lombardi mi vuole bene. Appena uscito di galera, la gente per strada mi chiedeva i selfie. Mi dicono: “Quando torna Formigoni? Ti votiamo in massa”».

“Mi sento vicino a Fi ma sulle trattative europee poteva fare molto di più Rispetto all’operato della Meloni premier ho un giudizio positivo

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Roberto Formigoni, governator­e della Lombardia fino al 2013 [Ansa]
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