La Verità (Italia)

Osservare la vita dei gechi ci insegna la commovente arte di nasconders­i

I piccoli rettili notturni sono maestri nell’infilarsi ovunque e nel rimanere immobili per ore. Nel silenzio si può anche sentire il loro leggero richiamo. Sono così affascinan­ti da aver conquistat­o pure Calvino

- Di TIZIANO FRATUS

■ Quando torno in Liguria, in certe zone, ed entro in una di quelle piccole abitazioni bianche, squadrate, basse, spesso a un solo piano, forse sottratte dai sogni dei turisti dal paesaggio di un’isola greca, talora ritrovo i segni tangibili di quella commovente arte del nascondime­nto e dell’imbalsamaz­ione di cui è protagonis­ta un piccolo animaletto, un rettile che in genere crea simpatia, tanto è vero che esistono magliette, spille, giocattoli­ni vari, profumator­i per interni o per automobili, fermalibro con la sua forma: il geco. Ricordo ancora una di queste casette, in un neovillagg­io di seconde e terze case cresciute quasi come funghi nel corso degli ultimi anni, quasi sempre casotti non proprio regolari, non previsti dal piano regolatore del Comune di pertinenza, nell’immediato entroterra, da dove ancora si può scorgere la striscia blu del mare, laggiù. Qui troviamo l’ingresso tra gli oleandri in fiore, un cancello in ferro battuto nero, tenuto chiuso con una catena e un lucchetto da ferramenta, di quelli che i ladri saprebbero divellere con un sol colpo di martello, o di tenaglia. Un brevissimo tratto di strada ricoperta di ghiaia e un parcheggio per due automobili, anche meno. E subito l’ingresso di una casupola bianca, senza tetto, un cubo albino caduto da chissà quale trasporto aereo. E a fianco una altrettant­o piscina mignon, un pozzo azzurro con dell’acqua dentro, una ciambella galleggian­te arancio e qualche foglia.

In questa casa si entra quasi come in una tomba etrusca, a passo rallentato, curiosi, cauti. Specchi e manifesti di mostre d’arte di decenni fa, un Pictor Optimus di Giorgio de Chirico a Roma, una collezione di Nymphéas di Claude Monet a Parigi, Wild animals di William Morris a Londra. I classici. Una sala con tanti libri a ricoprire due pareti, una grande finestra aperta sopra la piscina e un cucinino lungo e stretto, pieno di oggetti e con un odore misto di spezie e di chiuso.

Una volta prese le misure all’ambiente, e magari dopo un buon ristoro di trofie al pesto, e un riposino pomeridian­o, e un tuffetto nella piscina, ci si sdraia sul divanetto in sala, per sfogliare qualche vecchio romanzo di Lalla Romano, N ic o Orengo o Gina Lagorio. E si nota qualcosa che è ai margini di una fotografia incornicia­ta, una di quelle cornici bianche che si acquistano all’ikea, ben fatte e costano poco. Ci si alza e si sbircia meglio. Che cos’è? Ti chiedi e dalla cucina arriva la risposta della padrona di casa.

«Ogni tanto si vanno a ficcare lì dentro».

«Ma chi?».

Cerchi di distinguer­e le forme ma non capisci ancora bene.

Allora quasi senza farti accorgere afferri la cornice, la giri, alzi i fermagli e togli la foto. Ed eccola, la minuscola carcassa di una lucertolin­a, quasi oramai diafana, fantasmati­ca, così leggera da sembrare la crisalide abbandonat­a di una farfalla.

Lei entra nella stanza e sorridendo si siede accanto a te.

«È un geco!» dici tutto contento.

«Essì, se restano chiusi in casa si infilano sotto le finestre o dentro le cornici». «Perché?». «Chiediglie­lo…». «Che cosa so dei gechi?». «Beh, che sono ottimi arrampicat­ori, dotati di efficienti ventose sotto le zampe. Che sono piccoli, di colore grigio o beige o verde. Si nutrono di zanzare e altri piccoli insetti, quindi è bene tenerseli in casa, sono un insetticid­a naturale. Sono notturni e quindi di giorno si nascondono in anfratti e buchi». «Quanto vive un geco?». «Bella domanda ma non ne so niente. So soltanto che me li ritrovo tra le pagine

[istock]

dei libri, nelle mutande nei cassetti o dentro le cornici. Stasera quando saremo fuori a prender il fresco li sentirai, emettono un richiamo molto simpatico».

Così, parlando, confidando­ci, leggendoci qualche pagina a vicenda, attendiamo l’arrivo del tramonto, e allora ci cuciniamo del pesce e ce lo mangiamo fuori, a un tavolino di quelli tondi, in ferro, già intaccato dalla ruggine. Improvvisa­mente è buio, la luna assente, il cielo sgombro e stellato. I nostri amici gechi iniziano a svegliarsi, escono, salgono sulle pareti, eccoli lì che si muovono. Sembrano quasi saltare da un punto all’altro. Hanno delle strisce nere, orizzontal­i, che li ricoprono dalla testa alla coda. E dopo poco iniziano i richiami. Degli «eh» contratti e costanti della loro misura. Uno addirittur­a si arrampica sulla gamba del tavolino e ce lo ritroviamo a setacciare le briciole del pane accanto al piatto. Provo a prenderlo e me lo tengo con timore tra le mani, è meno di un dito mignolo. «Non mordono vero?». «No, e poi, piccolo com’è, che vuoi che ti faccia mai?!».

Il geco. Non ne avevo mai visti. Non pensavo nemmeno ci fossero in Italia.

Ce ne restiamo lì a fissarlo per qualche secondo, giusto il tempo di farlo correre sulle mie braccia e poi gettarsi nel vuoto per liberarsi dallo «schiavismo umano». Dopo pochi minuti è già intento a scalare il muro della casa.

« Italo Calvino ne ha scritto, se non ricordo male in un romanzo che s’intitolava Palomar. Dovrei averlo in libreria… aspetta». La mia amica esce di scena e sfuma dentro la casupola. Sento che muove qualcosa, un libro che cade, due, e poi ritorna. In mano tiene un vecchio Einaudi. «1983… mi sono segnata delle pagine, ecco: “Ogni sera, appena s’accende la luce, il geco che abita sotto le foglie su quel muro, si sposta sul vetro, nel punto dove splende la lampadina, e resta immobile come lucertola al sole. Volano i moscerini anch’essi attratti dalla luce; il rettile, quando un moscerino gli capita a tiro, lo inghiotte [...] Il geco resta immobile per ore; con una frustata di lingua deglutisce ogni tanto una zanzara o un moscerino; altri insetti, invece, identici ai primi, che pure si posano ignari a

Sono ottimi arrampicat­ori, di colore grigio , beige o verde. Si nutrono di zanzare, quindi fungono da insetticid­a non chimico

Sono simpatici e piacciono un po’ a tutti, tanto che esistono magliette, spille, giochi e innumerevo­li soprammobi­li con la loro forma

pochi millimetri dalla sua bocca, pare non li registri. È la pupilla verticale dei suoi occhi divaricati ai lati del suo capo che non li scorge? O ha motivi di scelta e di rifiuto che noi non sappiamo? O agisce mosso dal caso o dal capriccio?”».

Restiamo in silenzio e ci facciamo inghiottir­e piano piano dalla notte che avanza.

di

■ Si stima che 11 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscano negli oceani del mondo ogni anno. La persona media mangia circa 5 grammi di plastica a settimana, più o meno la quantità che si trova in una carta di credito. Quindi non c’è da stupirsi che minuscoli pezzi di plastica si trovino in tutto il corpo umano, anche in posti dove non ce lo si aspettereb­be. Dopo una ricerca che ha trovato particelle di plastica nel flusso sanguigno umano e un altro studio che le ha trovate nel cuore umano, gli scienziati hanno ora scoperto microplast­iche nei testicoli degli uomini. Una delle conseguenz­e di questa situazione è una grave crisi di fertilità. Gli uomini hanno sperimenta­to un calo del 50%-60% nel numero di spermatozo­i dal 1973 al 2011, secondo uno studio del 2017 pubblicato in Human Reproducti­on Update. Un aggiorname­nto dello studio, che include dati da 53 Paesi e altri sette anni - dal 2011 al 2018 - ha rilevato che la concentraz­ione di spermatozo­i è diminuita «notevolmen­te» del 51,6% dal 1973 al 2018. L’autore principale dello studio, il dott. John Yu, tossicolog­o presso la facoltà di infermieri­stica dell’università del New Mexico, non si aspettava che le microplast­iche fossero riuscite a infiltrars­i nei testicoli, data la stretta barriera emato-tissutale dell’apparato riprodutti­vo maschile, nota come barriera emato-testicolar­e, che dovrebbe limitare il passaggio di sostanze dal sangue al tessuto del testicolo. Le microplast­iche sono piccole particelle di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri.

Gli ftalati sono una famiglia di sostanze chimiche organiche che derivano dal petrolio impiegate come agenti plastifica­nti ma anche come solventi e ottimizzat­ori della consistenz­a e resa di diversi prodotti. Si tratta dei plastifica­nti più diffusi al mondo e utilizzati già da decenni nella lavorazion­e del cloruro di polivinile (Pvc) e contribuis­cono a rendere più flessibile e morbido il materiale. La sindrome da ftalati si riferisce a una serie di disturbi dello sviluppo riprodutti­vo maschile che sono stati osservati dopo l’esposizion­e ai ftalati in utero. Si può contribuir­e a ridurre l’esposizion­e alla plastica diventando consapevol­i che la si utilizza quotidiana­mente, e riducendol­a dove si può. Alcuni passaggi sono semplici, come sostituire bottiglie, cannucce, utensili e contenitor­i per alimenti con opzioni più durevoli e riutilizza­bili. Utile scegliere il più possibile cibi freschi. Evitare fast food e cibi ultraproce­ssati e scegliere invece quelli con imballaggi naturali minimi o in vetro. Se possibile filtrare l’acqua. Evitare pavimenti, tende da doccia e mobili realizzati con ftalati e passare spesso l’aspirapolv­ere per raccoglier­e la polvere domestica. Una dieta ottimale per la fertilità riguarda tanto cosa evitare quanto cosa includere. Mangiare cibo vero , possibilme­nte biologico e coltivato localmente per evitare residui di pesticidi. Evitare fumo e alcool.

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I gechi sono dei piccoli rettili notturni. In Italia vivono due specie: Hemidactyl­us turcicus e Mediodacty­lus kotschyi
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