«Sono il migliore, quindi mi ritiro»
Surreale discorso di Biden che non chiarisce i motivi della rinuncia e investe la Harris infischiandosene degli elettori. Operazione opaca dei «difensori» della democrazia
■ Ha avuto un che di surreale il discorso con cui Joe Biden ha parlato per la prima volta della sua decisione di ritirarsi dalla campagna elettorale. Pensiamo innanzitutto alla tempistica. Dopo aver annunciato la sua decisione domenica con un comunicato stringato, il presidente ha aspettato fino a mercoledì sera per affrontare la questione: ovviamente senza ricorrere a una conferenza stampa, dove i giornalisti avrebbero potuto metterlo sotto pressione.
In secondo luogo, Biden non ha chiarito granché le motivazioni del suo gesto. «Credo che il mio curriculum da presidente, la mia leadership nel mondo, la mia visione del futuro dell’america meritassero tutti un secondo mandato, ma niente può ostacolare la salvezza della nostra democrazia e questo include l’ambizione personale», ha detto, per poi aggiungere: «Ho deciso che il modo migliore per procedere è passare il testimone a una nuova generazione: è il modo migliore per unire la nostra nazione». Insomma, prima ha detto di essersi sentito in grado di reggere un secondo mandato. Poi però ha aggiunto che, in nome dell’unità nazionale, ha deciso di «passare il testimone». Peccato che non abbia esplicitato il perché della sua scelta.
Non è d’altronde un mistero che Biden abbia cercato di resistere in tutti i modi alle pressioni di chi voleva un suo passo indietro. Trasparenza avrebbe voluto che il presidente chiarisse apertamente la motivazione che lo ha spinto a cambiare idea. Ma non l’ha fatto. Il che aumenta l’opacità con cui il Partito democratico ha gestito il suo siluramento. Il terzo aspetto problematico è che, nel suo discorso, Biden ha reso noto di voler portare a termine il proprio mandato presidenziale. Ma allora, nuovamente, per quale motivo si è ritirato dalla campagna elettorale? Il paragone con Lyndon Johnson non regge. In primis, Johnson, nel 1968, si ritirò a marzo e non a fine luglio. Inoltre, fece un passo indietro per ll’impopolarità che lo perseguitava a causa della guerra in Vietnam e giustificò il proprio addio elettorale dicendo di voler avere le mani libere per occuparsi di quel conflitto.
Biden, invece, è finito sotto pressione a causa delle sue precarie condizioni psicofisiche. Condizioni che tuttavia, nel suo discorso, il diretto interessato non ha citato. I casi sono due. O Biden ritiene di essere sano (e allora perché si tira indietro? oppure sa di essere malato (e allora perché rifiuta di dimettersi da presidente?).
Nel suo discorso ha parlato anche di «difesa della democrazia». Eppure ha appena ceduto a una manovra di palazzo che ha bellamente bypassato le primarie. Primarie che, in una lettera scritta tre settimane fa ai parlamentari dem, il presidente rivendicava di aver vinto, respingendo le richieste di un passo indietro. «Gli elettori del Partito democratico hanno votato. Mi hanno scelto come candidato del partito», scrisse. Adesso si è rimangiato tutto. Si è ritirato dalla campagna senza spiegare il motivo e, anziché invocare un processo aperto per la scelta del sostituto, ha dato l’endorsement a Kamala Harris, spianando così la strada a una sorta di successione dinastica. Né vale parlare di «emergenza».
Qui non c’è nessuna emergenza. C’è un presidente che, fino a una manciata di giorni fa, non ne voleva sapere di fare un passo indietro e che poi, a seguito di pressioni opache, ha improvvisamente deciso di lasciare a tre mesi dal voto.
Del resto, che Biden avesse problemi di lucidità era noto fin dal 2020. Per quale ragione non ha allora dovuto affrontare alcuna sfida seria alle primarie? Probabilmente perché l’establishment dem, a partire da Barack Obama, sperava in un suo ritiro
[Ansa]
«spontaneo» per avviare la cosiddetta «successione ordinata» (vale a dire: una successione in barba al voto della base). Quello che Obama non aveva previsto è stata la resistenza di Biden (e dei famigliari) a mollare: una situazione, che ha finito con l’allungare i tempi.
Resta comunque l’inquietante opacità della sostituzione del presidente. E meno male che l’asinello continua a presentarsi come il baluardo della democrazia.