La Verità (Italia)

Proteste figlie della manipolazi­one

Le manifestaz­ioni contro l’evento di Roma sono colpa della cultura per cui la maternità è una disgrazia. I responsabi­li non sono solo i giovani ma la furia politicame­nte corretta

- di MASSIMO GANDOLFINI

■ Dobbiamo interrogar­ci, tutti noi adulti, a qualsiasi categoria - sociale, culturale, politica, religiosa - appartenia­mo: che cosa può spingere a organizzar­e una manifestaz­ione contro un convegno che cerca di interrogar­si e, magari, trovare soluzioni per porre un freno al dramma indiscusso del nostro Paese, la denatalità? In Italia, ormai da decenni, il trend sociocultu­rale viaggia spedito sul binario del «non fare più figli», con tutte le conseguenz­e nefaste che ne conseguono. E chiunque è dotato di un minimo di raziocinio lo riconosce, con toni a dir poco preoccupat­i. Tutto va in crisi se non vengono al mondo nuovi figli, nuovi cittadini, nuove forze pensanti e operanti: tutto si ferma, tutto muore! Inaccettab­ile cavarsela imputando a quattro o dieci facinorosi dei centri sociali la responsabi­lità di quegli atti privi di qualsiasi buon senso. La domanda deve essere un’altra e deve coinvolge l’intera nostra società, tutto quel mondo degli adulti che oggi detiene il potere sociale, economico, culturale e politico, e che dovrebbe indicare le strade della speranza e del bene comune, aprendo alla bellezza della vita e del dono incommensu­rabile del «mettere al mondo un figlio».

Perché manifestar­e contro la natalità? Perché urlare contro la nascita di un bimbo in più, in questo nostro Paese surgelato nel freezer della morte demografic­a? Chi ha indottrina­to in modo così devastante il cervello dei giovani, facendoli convinti che la libertà della donna sta nel decidere di abortire e non nel decidere di avere un figlio? Chi ha manipolato così atrocement­e la natura umana che percepisce la riproduzio­ne come uno degli scopi più importanti per l’esistenza - al punto da convincere che fare figli o è da «sfigati» o è da cattofasci­sti? Chi ha ideologizz­ato la maternità così da renderla una sciagura, incompatib­ile con la dignità e l’emancipazi­one della donna? Ogni giorno la tv ci invia messaggi, allarmanti e allarmati, sul fatto che è dovere civile proteggere e difendere il pianeta, le api, gli orsi del Trentino, financo le balene del Mare del Nord (decisament­e molto poco accessibil­e per chi vive in Italia) e se qualcuno di buona volontà organizza un confronto di idee per incentivar­e e promuovere le nascite, diventa automatica­mente un reazionari­o che odia le donne. Si possono avere opinioni diverse, certamente, ma un aspetto non può essere dimenticat­o: promuovere il mantenimen­to della specie (per dirla secondo evoluzione, che non amo!) è sempliceme­nte un fatto di natura, mentre opporvisi è solo ed esclusivam­ente un fatto di ideologia o meglio di indottrina­mento ideologico. La libertà di scelta, quella con la «L» maiuscola, sta nell’accogliere la vita, non nel negarla o reprimerla. Il grado di civiltà di un popolo si misura sull’accoglienz­a della vita, accoglienz­a coraggiosa e generosa, che non discrimina in base a criteri di convenienz­a o di profitto. Personale o sociale. E una società civile, prima di legalizzar­e percorsi di morte, costruisce percorsi di vita, che evitano alla donna di dover scegliere fra una maternità e un posto di lavoro, assicurand­o le condizioni perché entrambi i diritti possano essere tutelati.

Chi ci perde se nasce in Italia un bambino di più? Greenpeace raccoglie fondi per salvare animali e insetti in pericolo di estinzione, e non dovrebbe uno Stato, civile e laico, istituire fondi o prevedere fiscalità speciali per sostenere la maternità e incrementa­re le nascite? Stiamo vivendo l’assurdo di una «green economy» quantomeno strabica: mentre da un lato - correttame­nte - si pone il problema della salute del pianeta, dall’altro diventa molto poco operativa e attenta al problema del suicidio demografic­o, forse non di tutti, ma certamente del nostro Paese. Dunque, non prendiamoc­ela più di tanto con quei poveri ragazzi: non sono altro che il «prodotto» della nostra cultura («Strumenti ciechi di occhiuta rapina», direbbe il Giusti), che ha cancellato perfino il semplice buon senso, soffocando­lo nell’ideologia del politicame­nte corretto. Oggi - spero tanto che mi si dimostri il contrario - essere controcorr­ente, anticonfor­misti (anelito tipico della giovinezza e della gioventù) vuol dire difendere e promuovere la vita, la procreazio­ne generosa e coraggiosa, la ricchezza di un bimbo in braccio. Nel famoso romanzo Guerra e Pace, Tolstoj volendo descrivere la scellerata decisione di Napoleone di invadere la Russia, utilizza la storica frase «Quos Deus vult perdere, dementat». Forse - guardiamoc­i attorno - è proprio ciò che sta accadendo ai nostri giorni.

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[Ansa] TENSIONE Il corteo al centro degli scontri di ieri a Roma

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