Riti esangui, divisivi e per pochi I veri nostalgici sono gli «antifa»
Chi predica la difesa della libertà sono quelli che tifano divieti e rieducazione delle masse
L’antifascismo è un valore in tutto e per tutto novecentesco. Nasce come reazione all’esito ultimo del Romanticismo, il quale diede vita a forme di autoritarismo peculiari, frutto di un percorso storico ben preciso e molto articolato. Il grande valore ideale dell’antifascismo, quello sancito dai suoi esponenti di spicco, da Benedetto Croce a Norberto Bobbio, il valore riconosciuto anche da quelli che da quella storia non provenivano, consiste nella rivendicazione della libertà come valore assoluto. Una libertà conquistata come esito di un atto bellico senza il quale anche i valori successivi non avrebbero potuto imporsi. Per quanto Giovanni De Luna si sforzi di dire che senza partigiani gli americani non avrebbero liberato l’italia, tutti sanno che è vero esattamente il contrario e tutti sanno che l’antifascismo si animò in concomitanza degli sbarchi Alleati.
Un evento fondativo mantiene la propria spinta valoriale fino a quando la comunità fondata si rispecchia in esso, lo riconosce come tale e ne percepisce la funzione. Ma non soltanto i miti fondativi perdono forza col passare del tempo, possono anche perdere la loro funzione se la comunità viene lacerata. E ciò non necessariamente in diretta relazione col mito fondativo stesso ma per fatti storici che accadono e che modificano l’orizzonte culturale, i valori e le valutazioni. Nel suo chiudersi, il Novecento ha portato con sé non soltanto la caduta del Muro di Berlino e il successivo riassetto globale, ha portato non soltanto quella che in Italia abbiamo chiamato «Seconda Repubblica», ha portato non solo la nascita di un nuovo sovrano nell’immaginario degli europei sotto forma di Unione europea, purtroppo ha portato anche una pandemia e la sua gestione: fatti ideologicamente molto meno pregnanti dell’antifascismo ma che, in concreto, hanno inciso nelle vite delle persone in maniera più profonda di qualsiasi altro fatto accaduto dal 1945 al 2020.
Inutile negare che la recente gestione pandemica abbia prodotto una lacerazione nella comunità nazionale mostrando a tutti che il proprio vicino, il proprio medico, il poliziotto, il giudice, il politico potevano rivelarsi figure apertamente ostili nei confronti della libera disponibilità di ciò che l’uomo ha di più sacro e intimo: il proprio corpo e quello dei propri cari, quella libertà individuale valore supremo dell’antifascismo. Qui il punto - si badi bene - non è il Covid né tantomeno il vaccino: qui il punto è l’aver preso atto che in determinate circostanze eccezionali, dette «stato d’emergenza», si poteva scivolare in un assetto autoritario e ciò con il sostegno entusiasta e, in certi casi, fanatico di coloro che con più convinzione si rifacevano al mito fondante la Repubblica, mito che nacque proprio per respingere la limitazione delle libertà individuali. Con la gestione pandemica, la comunità sociale si è